MARZO 1
La predica sui "diritti umani"
che valore aveva per il corsaro Draguth ?

Domandatelo a voi stessi alla fine della pagina odierna. Io mi accontenterò di mettervi sotto gli occhi il predicatore, Andrea Doria; il "pentito" lo riconoscerete voi, nei ceppi di Genova: è il leggendario corsaro turco Dorghut (anche Dragut, e in latino Draguth o Draguthes).

Prima però è doverosa una qualche inquadratura. Costui balza alla notorietà europea quando se la prende, nel Mediterraneo Orientale, con i galeoni veneziani, verso il 1533. Poi diventa insopportabile e onnipresente, finché Carlo V prega Andrea Doria "si voglia assumere il compito di catturarlo". Giannettino, il Doria nipote, lo scova in Corsica (1540) e lo rinchiude a Genova. Qui lo ritroviamo oggi, quando le mosse diplomatiche del Barbarossa mettono in grave imbarazzo l'Occidente; siamo al caso limite: PER INTERESSE DI TUTTI SARA MEGLIO LASCIARLO ANDARE! Non vi ricorda questa "generosa" scelta il caso Abu Nidal, il sequestratore della "Achille Lauro"? E ancora più recentemente, le esitazioni della magistratura, se aprire o non un fascicolo di "favoreggiamento" nel caso di un Al Molky, "sparito" durante una uscita libera da Rebibbia 11-III-1996 ?

Ritorniamo ora al nostro caso storico. Un secondo ordine di cattura scatterà contro il Draguth nel 1550. Ma ci riuscirà a svignarsela. Lo ricercheranno alle Gerbe; tempo perso! Ricomparirà persino nella conquista di Tripoli 1551, e vi si insedierà come governatore nel 1556. Di nuovo tutti contro lui nel 1560. Ma i veri successi erano solo i suoi. Finalmente però, nell'assedio di Malta, la sua ora suona il 25 giugno, anno 1565 !

Il resto, interessantissimo; ma imparate, prego, a leggere tra le righe.

Neque vero insignis EIUS (Andreae Doria) erga Draguthem captivum
silenda LIBERALITAS atque INDULGENTIA est,
cum maxima prudentia comitateque coniuncta.
Cum enim Draguthes, non semel ut dimitteretur,
summis ab Andrea precibus per familiares eius contendisset,
Andreas aliquandiu quid sibi consilii capiendum esset incertus fuit.
Norat enim feros illius mores et immanem naturam,
atque hominem barbarum, libertate recepta,
quin ad piraticam rediret non dubitabat.

Contra, si non dimitteretur,
vel eum necandum vel catenis constrictum
perpetuo in custodias includendum esse videbat.

A quorum ALTERO mite clemensque suum ingenium prorsus abhorrebat;
ac si fieri permississet,
se ipsius Draguthis feritatem aequaturum intelligebat.
ALTERUM incommodi plus damnique quam utilitatis
christianis rebus allaturum providebat...!

SIGONIUS Carolus, De Rebus gestis Andreae Doriae, lib.II, cap. XXIX

Sperabat enim Draguthem
fortunis exutum rerumque omnium egentem
neque satis facile classem coacturum
neque virium aliquid habiturum.

Et verebatur ne Hariadenus pirataeque omnes,
ad exemplum sui, qui Draguthem in vinculis retineret,
Christianos, quicumque in eorum potestate essent,
contumeliis omnibus afficerent et in eos acerbissime saevirent;
repraesentataque pecunia,
redimere deinceps paterentur neminem.

Itaque, quod iure belli postulabatur,
belli iure concessit.

Sed ut Draguthis feritatem quocumque obsequio
posset ad mansuetudinem transferre,
eum vinculis solvi, ad seque acciri iussit.

Neque eum liberare satis habuit,
sed etiam iis verbis appellavit
ut si liber fuit, blandius ac benignius alloqui non potuerit.

"Quippe se nescire cum homines natura liberos genuisset,
unde haec iniqua in servitutem redigendi
atque in servos crudelius saeviendi consuetudo esset inaudita;
et se quidem, vetere compulsum more,
multos in vinculis habuisse,
at nunquam tamen graviores ab iis exprimendae mulctae causa,
ut durius in eos asperiusve consuleret,
in animum induxisse.
Quod cúm ceteros praedones,
túm ipsum praecipue Draguthem factitasse constaret.

Quocirca se eum hortari ut,
TAM IMMANI REPUDIATA CONSUETUDINE,
se hominem esse, parem cum ceteris, a Deo creatum
in memoriam revocaret:
servos autem eo haberet loco ut
aut ad res necessarias iustam eorum operam adhiberet,
aut eos, aequa mercede accepta, compedibus relaxaret:
neque tormentis excruciare
ad iniquiores extorquendas pecuniae summas vellet."

Cui Draguthes ita respondit:
ut gratiis actis, se optima illius praecepta
diligentissime servaturum esse polliceretur,
nullum recusans supplicium
si quando alias ab eo captum,
fidem se fefellisse convinceret.

MARZO 2

L'ora di religione (1)

Appena prescelto questo titolo per introdurre le due pagine che stralcierò da uno dei Trattati più suggestivi di Cicerone, il De Natura Deorum, in 3 libri, ho incominciato a sentire la vertigine delle cose troppo alte. Il solo termine RELIGIO è in sé stesso, spogliato da qualsiasi altra qualifica o connotazione, e sottratto alle scaramucce partitiche alle quali siamo stati abituati in recenti polemiche, troppo sacro perché lo si possa prendere a pretesto di altro valore.

Il De Natura Deorum ha per l'uomo odierno, e anche per il cristiano, il merito di affrontare in radice il problema più arduo di qualsiasi forma di religione; perché, puntando direttamente sul concetto stesso di Dio, aiuta anche noi a sfrondare la troppo esuberante vegetazione delle nostre pratiche religiose, lasciandoci in mano il metodo per vagliare eventuale tassi di contaminazione. La tecnica ciceroniana è ancor oggi applicabile alla forma concreta nella quale si è configurato storicamente il nostro "bisogno di Dio".

Magari avessero tutti il coraggio di riaprire un'analisi così sincera come questa di Cicerone, che mette subito a nudo la certezza antica, del resto condivisa più di una volta expliciter dai grandi pensatori del nostro mondo greco-romano, di star accettando una inconsistente intelaiatura mitologica, fintanto che QUALCUNO fosse finalmente riuscito a trovare la verità. COLUI al quale fu rivolta l'imbarazzante domanda Quid est VERITAS? (che la filosofia umana non riusciva a trovare), non poteva rifiutarci la risposta esplicita: e l'abbiamo, grazie a Dio! Ego sum VIA, ET VERITAS, ET VITA.

Mettiamo però il freno al punto giusto. E` proposito di questa Antologia additare filoni inesauribili di pensiero. Il De Natura Deorum (tre libri, con quel dibattito sistematico tra le grandi scuole antiche, Academici, Stoici, Epicurei) offre pianure e vette dove perdersi nella più nobile avventura culturale, quella che mira al punto "azimutale" della nostra esistenza da uomini PENSANTI. (Onde risulta obbligatorio, anche a questo punto, il richiamo a Seneca: Quam contempta res est homo, nisi supra humana surrexerit !)

Richiamo anche la vostra attenzione su un pauroso equivoco: non tradurre temeritas come temerarietà: uscirebbe falsato tutto il pensiero: temeritas è sconsideratezza, leggerezza; un vocabolo che qui vuol accennare a quelli che di Dio parlano per sentito dire, senza nemmeno essersi scommodati a studiarlo a scuola, o a ripassare quei libri difficili dopo le elementari. Ed esso sarà sempre il nostro problema più profondo: conservare, vita natural durante, quell'epidermica vernice religiosa che bastava per la prima infanzia!

CICERONE, De Natura Deorum lib.I cc.1-2

Cum multae res in philosophia
nequaquam satis adhuc explicatae sint,
tum perdifficilis, Brute, (quod tu minime ignoras)
et perobscura quaestio est
DE NATURA DEORUM ;
quae et AD AGNITIONEM ANIMI pulcherrima est
et AD MODERANDAM RELIGIONEM necessaria.

De qua tam variae sunt doctissimorum hominum
tamque discrepantes sententiae,
ut magno argumento esse debeat
causam, id est principium, philosophiae esse INSCIENTIAM;
prudenterque Academicos
a rebus incertis assensionem cohibuisse.

Quid est enim temeritate turpius ?
aut quid tam temerarium
tamque indignum sapientis gravitate atque constantia,
quam aut falsum sentire
aut quod non satis explorate perceptum sit et cognitum,
sine ulla dubitatione defendere ?

Velut in hac quaestione,
plerique, quod maxime verisimile est
et quo omnes duce natura vehimur, DEOS ESSE dixerunt.
DUBITARE se Protagoras:
NULLOS ESSE omnino
Diagoras Melius et Theodorus Cyrenaicus putaverunt.

Qui vero DEOS ESSE dixerunt
tanta sunt in varietate ac dissensione,
ut eorum molestum sit dinumerare sententias.

Nam et de figuris Deorum
et de locis atque sedibus
et actione vitae multa dicuntur;
deque his
SUMMA PHILOSOPHORUM DISSENSIONE certatur.

Quod vero maxime rem causamque continet,
utrum nihil agant, nihil moliantur,
omni curatione et administratione rerum vacent,
an contra AB IIS et A PRINCIPIO
omnia facta et constituta sint
et ad infinitum tempus regantur atque moveantur,
in primis MAGNA DISSENSIO EST !

Eaque nisi diiudicatur,
in summo errore necesse est homines
atque in maximarum rerum ignoratione versari.

MARZO 3

L'ora di religione (2)

Stordito dal peso storico della bellisima pagina di apertura di Cicerone sull'intero argomento RELIGIONE, SI E NO, non me la sento di rischiare sulla seconda pagina. Tale ne è la profondità, così rettilineo e sicuro il passo, tanto sconvolgente e lineare l'ultima conclusione, che, dedicare ad essa una fugace introduzione, sarebbe guastarla. A voi la sfida.

Se, trascinati dal pensiero di Cicerone, volete polemizzare con lui sulla portata della sua ultima frase, estote parati!, perché egli, in forza di logica, vi sbarrerà ogni via che possa lasciar adito a molte delle comode soluzioni di oggi: all'indifferentismo, all'agnosticismo, perfino a qualsiasi forma annacquata di ecumenismo.

La VERITA` -quella che Cicerone e Pilato andavano ansiosamente cercando, quid est veritas?- non è uno di quei valori che si possano abbandonare al sù e giù delle Borse, alle intese contingenti delle alleanze politiche. Il tarlo di ogni democrazia e di ogni sondaggio d'opinione è quella falsa sicurezza: che cioè la VERITA` sia mensurabile con la sola aritmetica del suffragio universale. Argumentum pessimi turba est! (Seneca).

Voglio aggiungere un richiamo filologico sulla parola SANCTITAS. Si faccia attenzione: forse Cicerone non ha in mente lo stesso contenuto che noi vediamo affrettatamente dietro il vocabolo "santità"; per noi si accenna soltanto alla gradualità dei diversi livelli morali. Io tradurrei sanctitas (questa qui) come "dimensione del sacro" in tutta la sua ampiezza. Approfondite! e fermatevi anche in tempo, perché "il sacro", anzi il solo concetto di DIO non siamo noi fatti per afferrarlo "ad alta definizione". Ci sovrasterà sempre più di mille leghe! E`addirittura falso ogni nostro concetto di Dio che provenga soltanto da quelle misure antropomorfiche che automaticamente lo degradano! DEUS SEMPER MAIOR ! ci dicono a gara i veri teologi.

Vi regalo un altro richiamo culturale: sulla riga 43 della pagina odierna, dove compare il nome di Carneade; proprio a questo punto si era bloccato Don Abbondio (si può ben pensare che era questa pagina del De Natura Deorum ció che stava leggendo), quando prorrupe: "CARNEADE! Chi era costui?". Risposta facile: un filosofo greco (214-129 av.Cr.), responsabile di aver spinto le sublimi scoperte del Platonismo verso il più commodo scetticismo.

CICERONE, De Natura Deorum, l.c.

Sunt enim philosophi et fuerunt qui
omnino NULLAM
habere senserunt humanarum rerum procurationem deos.

Quorum si vera sententia est,
quae potest esse PIETAS ?
quae SANCTITAS ?
quae RELIGIO ?

Haec enim omnia pure atque caste tribuenda Deorum numini ita sunt,
si animadvertuntur ab iis,
et si est aliquid a diis immortalibus hominum generi tributum.
Sin autem Dii NEC possunt nos iuvare, NEC volunt,
NEC omnino curant, NEC quid agamus animadvertunt,
NEC est quod ab iis ad hominum vitam permanare possit...
quid est quod ullos
diis immortalibus CULTUS, HONORES, PRECES adhibeamus ?

In specie autem fictae simulationis, sicut reliquae virtutes,
item PIETAS inesse non potest,
cum qua simul SANCTITATEM et RELIGIONEM tolli necesse est.
Quibus sublatis, perturbatio vitae sequitur et magna confusio !

Atque haud scio an PIETATE adversus Deos sublata,
FIDES etiam et SOCIETAS GENERIS HUMANI,
vel una excellentissima virtus IUSTITIA tollatur !

Sunt autem alii philosophi
et hi quidem magni atque nobiles,
qui deorum mente atque ratione
omnem mundum administrari et regi censeant;
neque vero id solum,
sed etiam ab Eisdem hominum vitae consuli et provideri.
Nam et fruges, et reliqua quae terra pariat,
et tempestates ac temporum varietates caelique mutationes,
quibus omnia quae terra gignat maturata pubescant,
a Diis immortalibus tribui generi humano putant.

Multaque quae dicentur in his libris colligunt,
quae talia sunt ut ea ipsa
Dii immortales ad usum hominum fabricati paene videantur.

Contra quos Carneades ita multa disseruit
ut excitaret homines non socordes
ad VERI INVESTIGANDI cupiditatem.
Res enim nulla est, de qua tantopere
non solum indocti, sed etiam docti dissentiant.
Quorum opiniones cum tam variae sint tamque inter se dissidentes,
alterum fieri profecto potest: ut earum NULLA,
alterum certe non potest, UT PLUS UNA VERA SIT.

MARZO 4

Una "Scala dei valori"
in Cicerone

Una delle più gravi e drammatiche cause del malessere che oggi accompagna la crescita delle generazioni giovani, è identificata da molti nell'assenza di una solida "scala di valori", che garantisca loro quella padronanza nell'uso della propria libertà, diciamola quel "senso di bussola", che dovrebbe essere determinante per ogni vita, anzi per ogni singola scelta, piccola o grande che sia. Che sappiano cioè distinguere con chiarezza quali sono le cose che hanno un vero peso, e quelle, e ne saranno tantissime, che vanno ingoiate con serenità, come moscerini.

Cicerone non è proprio un "moralista" esclusivo, come potrebbe essere Seneca. E` pur sempre gradito trovare, anche in lui, una pregevole pagina che va in questa orientazione. Eccola qui.

Come al solito, per consentire che questa pagina si snodi senza essere soffocata dai limiti di spazio, ecco in apertura le più significative frasi di avvio.

Quid enim maiori laude dignum ex omnibus rebus humanis
commemorare possumus,
quam eum qui vitam ducat cum virtute coniunctam,
ad deorum CULTUM atque HONOREM perpetuum
in homines STUDIUM ac PIETATEM aggregare ?
Nec quidquam tantulum modo in eius animo exsistere, quod non
vel PIETATI,
vel HUMANITATI,
vel denique VIRTUTI sit consentaneum.

Sorprendente a questo punto la coincidenza di Cicerone con la semplificazione paulina del messaggio evangelico: Sobrie et iuste et pie vivamus in hoc saeculo. Dove SOBRIE rievoca i doveri erga se (virtuti consentaneum); IUSTE, erga alios (humanitati); PIE, erga Deum (pietas).

La pagina sarà più comprensibile se la diradiamo alquanto: ecco perchè Vi anticipo qui le prime righe:

Nec aliam sane ob causam
perturbari omnem vitam errore inscitiaque videmus,
nisi quod quae in hominis vita praecipua esse deberent,
PIETAS ERGA DEOS,
ERGA HOMINES BENEFICENTIA,
VIRTUS IN INGENIIS AC MORIBUS,
ea fere omnia negliguntur.

CICERONIS, Incerti auctoris (?) CONSOLATIO (182-185)

Eademque ratione qua maxime vitare deberemus,
ea studiose expetimus,
caecoque impetu ferimur ad illa
quibus vita nostra plane fera atque immanis efficitur.

Ex hoc fonte cupiditates insatiabiles exoriuntur,
quibus non modo singulos homines, sed totas familias
et universas funditus eversas civitates videmus.
Praeterea seditiones, insidiae, discordiae
rerumque et hominum clades et interitus.

Ex his etiam incredibiles dolores emanant,
quibus perturbari vitam,
neque solum insuavem sed acerbissimam effici necesse est.

Quod contra probis virtutemque amantibus accidit.
Nam divinae voluntati obtemperantes, nihil se ipsi
sed in ea se ipsos ac sua ponunt et locant omnia,
neminem laedunt,
omnes liberalitate, benignitate, caritate amplectuntur:
nulla re cruciantur, nihil appetunt,
omnium vitiorum fracto impetu
cupiditatum radicibus ex animo penitus evulsis.

Nempe igitur eos qui ita vixerunt
ut SIBI iucundi, DIIS grati, HOMINIBUS fructuosissimi exstiterint,
divinis heroibus iure dignos maiores nostri censuerunt:
eosque cum diis immortalibus aevum agere
sapientissimus poeta non inmerito cecinit.

Nec tamen idcirco quod eorum CORPORA
in caelum perlata credere sapienter quisquam possit:
quod, quia natura non patitur,
ut quod e terra est alibi quam in terra maneat,
nec credi quidem debeat necesse est:
sed quod eorum ANIMI,
tamquam hominum
de diis immortalibus humanoque genere optime meritorum,
in caelum putentur elati.

Quod de Romulo, urbis nostrae conditore,
memoriae proditum accepimus:
quem singulare in genus hominum
collatum munus tam praeclarae urbis condendae,
in deorum numero collocavit.

Idque eo tempore quo litteris et doctrinis homines exculti
facile fictum a germano, verum a falso secernebant,
ut credi non possit quidquam illis persuaderi potuisse,
quod ullam ficti aut falsi imaginem prae se ferret...

MARZO 5

Una risatina terapeutica
sui nostri guai politici !
Un "repulisti" di Senatori !

Questa volta tocca a me tirarmi indietro. Non tocca a me, forestiero per giunta, caricare i colori cupi della satira politica italiana. Raccolgo bonariamente due testi, che vi regaleranno un utile relax.

E incomincio, ordine inverso, da un "Decreto Legge" che, si dice, toglieva il sonno all'Imperatore Claudio. Per rimuovere i troppi senatori screditati dinanzi all'opinione pubblica (famosos probris), pensava... che non era il caso di ripristinare la severità antica; sarebbe da preferire una tattica "più civile": facciano i senatori indegni l'autocritica, e offrano "spontaneamente" le dimissioni !!! Io non vi aggiungo altro.

FAMOSOS PROBRIS quonam modo SENATU DEPELLERET anxius,
mitem ac recens repertam
quam ex severitate prisca rationem adhibuit:
monendo SECUM QUISQUE CONSULTARET PETERETQUE IUS EXUENDI ORDINIS.
Facilem eius rei veniam:
et motos senatu excusatosque simul propositurum ut
iudicium censorum ac pudor sponte cedentium permixta
ignominiam mollirent..! (Tacito, Ann. XI, 25)

Passo all'altro episodio, quasi tre secoli più antico. Annibale scorrazza nel Meridione; punta su Napoli per evidenti scopi strategici, ut urbem maritimam habeat...; absterruere conspecta moenia, haudquaquam prompta oppugnanti. Subentrerà quindi la solita trappola del Cartaginese: farà caracollare in vista delle mura i suoi cavalli con ostentosa esibizione del bottino, e i bravi napoletani usciranno. Detto fatto: escono, sì, ma la scampano a stento grazie ai pescatori di Mergellina! nec evasisset quisquam ni mare propinquum et haud procul naves piscatoriae... peritis nandi dedissent effugium. Punterà in seguito Annibale su Capua, dove, oltre alla ben nota corruzione, inter corrupta omnia licentia plebis sine modo libertatem exercentis, c'è un caporione, un tale Pacuvius Calavius, il quale (arricchitosi con le tangenti? malis artibus nactus opes) sta pensando al colpo grosso di consegnare Capua ad Annibale, anche a costo di un'ecatombe di senatori. Tuttavia, poichè è troppo palese il rischio, e il buon senso consiglia piuttosto di salvare capra e cavoli, ecco il raffinato sistema escogitato in extremis: venire a patti con la plebe, rinchiudere i senatori in Curia, e costringerli, mediante un sommario giudizio popolare, alla resa dei conti e al ricambio immediato! Ci riuscirà? non ci riuscirà? Ecco il divertente capitoletto: non si trovano pezzi di ricambio! Conclusione scoraggiante: tiriamo avanti e che Iddio ce la mandi buona ! (Averruncent Dii!). Un ripulisti di senatori non è mai stato facile !

TITO LIVIO, Ab Urbe condita, XXIII, cap.III

Tum, vocato ad contionem populo,
"Quod saepe -inquit- optastis, Campani,
ut supplicii sumendi vobis
EX IMPROBO AC DETESTABILI SENATU potestas esset,
eam nunc, non per tumultum expugnantes domos singulorum
(quas praesidiis clientium servorumque tuentur)
cum summo vestro periculo, sed tutam habetis ac liberam.

Clausos omnes in Curiam accipite: solos, inermes.
Nec quidquam raptim aut forte temere egeritis:
de singulorum capite vobis ius sententiae dicendae faciam,
ut quas quisque meritus est poenas pendat.

Sed ante omnia ita vos irae indulgere oportet,
ut potiorem ira salutem atque utilitatem vestram habeatis.
Etenim HOS, ut opinor, odistis SENATORES,
non SENATUM omnino HABERE NON VULTIS:
quippe aut REX (quod abominandum),
aut quod unum liberae civitatis consilium est, SENATUS HABENDUS EST.

Itaque DUAE RES SIMUL agendae sunt vobis,
ut et VETEREM Senatum tollatis et NOVUM cooptetis.
Citari SINGULOS senatores iubebo, de quorum capite vos consulam.
Quod de quoque censueritis, fiet. Sed prius, in eius locum,
virum fortem ac strenuum NOVUM SENATOREM cooptabitis,
quam de noxio supplicium sumatur".

Inde consedit et, nominibus in urnam coniectis,
citari quod PRIMUM forte NOMEN excidit
IPSUMQUE e Curia produci iussit. Ubi auditum est nomen,
MALUM et IMPROBUM pro se quisque clamare, et SUPPLICIO DIGNUM !
Tum Pacuvius: "Video quae de hoc sententia sit data.
Eligite pro malo atque improbo BONUM SENATOREM ET IUSTUM."

Primo silentium erat, inopia potioris subiiciundi;
deinde, cum aliquis, omissa verecundia, quempiam nominasset,
MULTO MAIOR extemplo CLAMOR oriebatur, cum alii negarent nosse,
alii nunc probra, nunc humilitatem sordidamque inopiam
et pudendae artis aut questus genus obiicerent.

Hoc multo magis in SECUNDO ac TERTIO citato senatore est factum,
ut ipsius poenitere homines appareret,
QUEM AUTEM IN EIUS SUBSTITUERENT LOCUM deesse.
Quia nec eosdem nominari attinebat,
nihil aliud quam ad audienda probra nominatos,
et multo humiliores obscurioresque ceteri erant
eis qui primi memoriae occurrebant.
Ita dilabi homines,
NOTISSIMUM QUODQUE MALUM maxime tolerabile dicentes esse,
iubentesque Senatum ex custodia dimitti.

MARZO 6

Colore siciliano, anno 1551
Con tanto di lupara, di morti ammazzati,
di matrimonio d'onore !

Per di più, con eccezionali caratteristiche narrative. Trattasi di un'informazione confidenziale dei primissimi gesuiti del tempo, inviata nientemeno a Sant'Ignazio, ancora vegeto nella sua base logistica di Roma.

Vediamo di capirci: presento questa pagina senza la minima intenzione di offendere nessuno; soltanto come pagina decorosamente neolatina. Lo è in tale dimensione, che posso essere sicuro ne parlerete agli amici.

Sant'Ignazio inventa fra i suoi neonati gesuiti (l'Ordine è stato approvato soltanto nel 1540) la buona norma che ogni settimana qualcuno gli racconti "come vanno le cose apostoliche". Ma, poichè l'Ordine si propaga vertiginosamente, la periodicità decorre subito a ogni mese, poi a ogni due; finalmente nascono le famosissime Litterae Quadrimestres. Che sono ovviamente monotone e ripetitive; ma QUALCUNO avrà il ticchio del colore ! Ad esempio, tra i primi gesuiti sbarcati a Messina l'8 aprile 1548 (che poi aprono le regolari lezioni il 26, tutte in latino!), si trovano dei latinisti di spicco: il Palmio, il Frusius; anche il francese Annibale Coudret o du Coudray, al quale vorremmo attribuire la pagina odierna.

Inter confessionis commoda,
illud quoque non in postremis duxerim ponendum,
quod superstitionum usus, qui tamen hactenus hic fuit plurimus,
non parum aboletur. Sed et illud inter haec praecipuum,
quod pax inter multos eosque consanguineos, composita est.

Vir enim quidam, et specie visus truculenta et animo ferus,
quadam die ad nos adductus est a scholastico iuvene,
qui eum forte invenerat et ex oculorum frontisque habitu
(quia nemo potest tacito vultu non prodere crimen)
cognorat non esse animo quieto paratoque.
Aperte fassus est domesticis nostris,
qui eum statim benigne alloqui coeperunt, se pridie eius diei
tormentum bellicum exonerasse in fratrem suum; propterea quod,
quam ipse diu habuerat concubinam lautissimeque nutrierat,
eam frater, ipso absente, cepisset usurariam !
Nec fratrem ex eo mori potuisse, quod eum non contigisset:
verum alii dedisse se id provinciae, ut eum occideret !...

Hic retentus domi per aliquot horas, auditis hinc inde
tam multis rationibus ad pacem cum fratre ineundam ipsum cohortantibus,
ita feritatem repente deposuit ut eo ipso die,
vocato fratre, pax inter eos non sine lacrimis facta sit,
hac quidem lege ut frater concubinam illam duceret in uxorem...

MONUMENTA HISTORICA S.I. Litterae Quadrimestres, I, pag.324 ss.

Inter alios quoque duos, generum et socerum,
qui quatuor annis inimici fuerant,
ita ut gener socerum vellet interficere, PAX FACTA !
Idemque accidisse fertur inter duos mercatores,
quorum alter ob inimicitias iam statuerat urbe egredi.

Alius quoque, cum ei frater occisus fuisset,
ac proinde auctorem caedis fraternae
ipse per duos annos diligenter persecutus esset,
ut mortem morte ulcisceretur,
quadam die ita e confessione abiit bene affectus et immutatus ut,
quaesito adversario eoque tandem invento,
INERMIS eum affectu maximo sit amplexus
atque eius genam, in signum remissae iniuriae,
strictissime osculatus,
orans etiam ut ignosceret
quod a duobus annis illum occidere quaesisset,
si data fuisset occasio !

Iuvat in his immorari,
si tibi non est molestum, optime Pater.
Itaque aliud non contemnendum exemplum huiusmodi recensebo.

Duo, quibus occisi fuerant filii,
cum ut tanti facinoris auctoribus ignoscerent,
quod in se erat, a quibusdam nostrorum rogarentur,
diu quidem ac multum initio obstiterunt,
paternum existimantes se animum deponere si id fecissent.

Tandem tamen, victi, manus dederunt,
adductique ut, cum per septem annos non essent confessi,
et confiteri
et omnia facere quae ille vellet quicum loquebantur, promiserint.
Quorum alter eo miserabilior erat, quod duos antea annos
pactus fuerat NUMQUAM SE DICTURUM ORATIONEM DOMINICAM
idque diligenter observaverat...

Auget etiam non parum fratrum conversatio;
multi siquidem hinc iuvantur;
et quamvis primo satis pertinaces videantur,
paulo post tamen, unius horulae spatio,
mirari possis quam facile mutentur, et alius quidem ludos,
alius vero concubinam in posterum se dimissurum promittat
et ad confitendum perducatur.
Sunt vero qui hoc fecerunt non pauci,
qui et perseverant saepe confiteri.
Inimicitiae ergo hac via inter nonnullos sedatae !

Aliis datum consilium ut, positis armis ferreis,
unum hostem impugnandum sibi in animum inducant: DAEMONEM !

MARZO 7

Riflessioni quaresimali

Per inquadrare le riflessioni quaresimali, saranno forse utili questi pensieri di SENECA, per il quale la nostra "Quaresima" = quadragesima, non rievocava ancora se non un "ordinale" assolutamente incolore. Ma, quanto ragionato il suo programma di austerità! Vi aiuto per l'interpretazione giusta di un concreto accenno gastronomico: quell'uccello, ricercato ultra Phasin, è l'odierno fagiano, cioè, in latino, phasianus.

Più utile sarà tuttavia altro aiuto: sarà anche Seneca in una delle pagine vicine al Natale, a richiamarci, da buon pagano, ad una qualche preparazione ascetica quando incalzano i motivi religiosi. Proprio come Giovanni Paolo II ci invitava, nella Quaresima 96, ad una sorta di digiuno televisivo, capace di produrre un recupero di interiorità. Perché non de solo pane vivit homo e il resto; un richiamo che le opipare "indigestioni televisive" ci fanno facilmente dimenticare. Seneca però, nella pagina odierna, punta solo sugli eccessi della gastronomia.

SENECA, Ad Helviam De Consolatione X, 2 ss.

---- RISUM TENEATIS, AMICI ! -------------------------------

In tonstrina iterum
Ecce accedit obesulus vir, puerulum manu ducens.
Sedet, tondetur, ungitur, pectinatur,
immo lautissime odoribus illinitur...

Tum exsurgit et dum, excusso pulvino, locus puerulo datur:
ille, ad ministros conversus:
- Dum puer tondetur -ait-
negotiolum me sinite festinanter agam.
- Facias licet -inquiunt.
Ille vero perquam quietissimus recedit.

Tonso autem puero, e ministrorum aliquis, alta voce:
- Nimium diu iam pater tuus exspectatur.
- Sed ille pater meus non est!
- Fortassis avunculus?
- Ne avunculus quidem.
- Quis est ergo?
- Eum equidem non novi. Ad me in platea ludentem
ignotus accesserat atque ita promiserat:
- Venias, quaeso, mecum: te eo perducam ubi
utrumque, nulla soluta pecunia, peramanter tondebunt.

Corporis exigua desideria sunt:
frigus submoveri vult,
alimentis famem ac sitim extingui;
quidquid extra concupiscitur
VITIIS,
NON USIBUS, LABORATUR.

Non est necesse omne perscrutari profundum,
neque strage animalium ventrem onerare,
nec conchylia ultimi maris ex ignoto litore eruere !
DII ISTOS DEAEQUE PERDANT
QUORUM LUXURIA TAM INVIDIOSI IMPERII FINES TRANSCENDIT.

Ultra Phasin capi volunt quod ambitiosam popinam instruat,
nec piget a Parthis,
a quibus nondum poenas repetiimus,
aves petere !

Undique convehunt omnia nota fastidienti gulae;
quodque dissolutus deliciis stomachus vix admittat
ab ultimo portatur oceano !
Vomunt ut edant, edunt ut vomant,
et epulas, quas toto orbe conquirunt,
nec concoquere dignantur.

Ista si quis despicit,
quid illi paupertas nocet ?
Si quis concupiscit,
illi paupertas etiam prodest:
invitus enim sanatur;
etsi remedia ne coactus quidem recipit,
interim certe,
dum non potest velle,
nolenti similis est.

C.Caesar,
quem mihi videtur rerum natura edidisse
ut ostenderet
QUID SUMMA VITIA IN SUMMA FORTUNA POSSENT,
centiens sestertio cenavit uno die et,
in hoc omnium adiutus ingenio,
vix tamen invenit quomodo
TRIUM PROVINCIARUM TRIBUTUM
UNA CENA FIERET !

O MISERABILES
QUORUM PALATUM NISI AD PRETIOSOS CIBOS NON EXCITATUR !

MARZO 8

IL NOME DELLA ROSA
"Ditelo coi fiori"

Fu questo, alcuni anni addietro, un felice slogan che invitava all'uso costante di una consapevole gentilezza. Oggi voglio essere gentile anch'io includendo LA ROSA in questa Antologia. La nostra guida sarà il Drexelius, nel cui giardino non manca proprio niente. Anzi, oltre al mazzo di rose rosse che formano la pagina odierna, Vi premetto un'altra specie, particolarmente profumata, che secondo lui è nota ai pellegrini di Terra Santa: eccola, col nome di ROSA HIERICHUNTINA (Rosa di Gerico).

Venosus est frutex, odoratus quando recens, ramulis duriusculis et spinosis, colore subflavo; bacculas habet racematim cohaerentes, foliola olivae similia, flores violae candidos; non alte a solo exsurgit. Testatur Saligniacus (in descriptione Terrae Sanctae) prope fontem Elisaei huius generis nasci rosaria, quorum foetus sint istae rosae. Nocte qua natus est Servator orbis hae rosae, quamvis exsuccae sint et vel centum annorum, paulatim tamen sponte sua hiare incipiunt et tandem se totas expandere. Post eam noctem ramos iterum contrahunt et in glomum sese colligunt. Quod ipse meis oculis spectavi annis pluribus. Id miraculi pia fidelium devotio Virginei Partus honori communibus suffragiis adiudicat.

Il nostro è tanto sicuro di quanto afferma, da aggiungere:

Ne tamen erres, lector,
haec rosa vel etiam centum ac plurium annorum,
ut dixi, omni die, cum aquae imponitur, sese aperit.
Ego ipse rei experimentum sumpsi, paratus id quavis hora monstrare.

HIEREMIAS DREXELIUS, Aurifodina etc.Pars II, c.VI

Se mai qualcuno preferisce il tulipano, eccolo: ve lo accludo con un ricordino breve del Iustus Lipsius. Costui, nel regalare al cognato bulbi di qualità, lo invita a ripassare a Maggio inoltrato nel suo giardino;

Dedi equidem, atque inter alia, Colchidum album, quod nunc debeat florere. Mitto et semina tuliparum, statim deserenda...

Tamen legem aliam tibi dicam, ut hoc verno tempore circa Maium nos invisas cum hortus meus varie floret: atque ibi coram arbitrere et eligas quid velis.

Spondeo, habebis, ex iis quidem quae pluscula mihi erunt et dividi apta...

JUSTUS LIPSIUS, Epistolarum Centuriae,
Ad Belgas I, LVI (pag.797).

La pagina odierna è di:
NICOLAUS GIANNETTASIO, Aestatum Surrentinarum, l.I, cap.VI

Multiformes porro rosarum habitus sunt.

Est quae angusto foliorum galero tota contecta,
fastigiatum pyramidis acumen primum absolvit,
corpus reliquum viridanti vagina continet.

Aliam videas diu collectos in sinum amictus laetam exsinuare
et foliorum suorum censum meditari
et patulo ridentis calathi honore,
seminis inclusi crocum aureum ostentare.

Verum caduca est omnis rosarum gloria !

Videas in eodem horto rosas virgines
rore matutino florentes et formosas:
redi post pauculas horas et videbis deformes anus,
quae decus omne ac divitias amiserint.

Heu quam praeceps iactura formae ! Vix natae consenescunt,
et terram, nutricem suam, exuviis suis operiunt !
Quae denso comarum igne modo riserant,
mox collapsis pallidae foliis plorant et emarcescunt.

Haec vitae nostrae condicio est:
fugit aetas, avolat, evanescit.
Quid moramur, quid procrastinamus ?
Tartaro aut caelo ambulamus proximi !

Veris odoratae si regem imponere turbae
divorum vellet Iuppiter arbitrio,
floribus e cunctis, divis plaudentibus, una
hoc rosa, non alius, culmine digna foret.
Illa enim pulchra viret intercincta corona,
et versat manibus gemmea sceptra suis.

Purpureo simul illa suo vestitur ab ostro,
atque satellitio cingitur illa suo.
Egregium decus illa soli vernantis et horti;
risus, honor campi purpureusque vigor.
Aurorae soboles pulcherrima, Solis ocellus,
deliciae caeli, dulcis amor Zephyri.
Plantarum lux alma, rubor nitidissimus, et flos
formosus: florum gloria, divitiae.
Illecebris capit illa animos, delectat odore:
fronde nitens oculos versicolore ligat.
Illa etiam tenerum teneris inspirat amorem
sensibus, et nexu pectora conciliat,
dum crines Zephyris perflantibus explicat, et dum
garrule purpureis verba facit labiis.

MARZO 9

Esercizi Spirituali...
per mettere ordine
negli affetti disordinati !

Entriamo con questa pagina in un binario parallelo a quello che, nella grande ascetica cristiana, ci insegnano a percorrere, in orbita ben più alta ovviamente, gli Esercizi Spirituali di Sant'Ignazio. I quali incominciano proprio così: "Ejercicios Espirituales... para preparar y disponer el ánima,... para quitar de sí todas las afecciones desordenadas". Incominciano cioè dallo stesso punto, donde parte Seneca, proprio in questa pagina.

Non ci sorprenda quindi che anche la prima tappa di questo percorso spirituale sia comune, che sia cioè quel grande "esercizio" che è il QUOTIDIANO ESAME DI COSCIENZA.

Le differenze però sono vistose. Sant'Ignazio vi arriva per ben altro percorso, attraverso altri passi di grande contenuto teologico; e dell'esame di coscienza non intende fare un punto di arrivo, bensì una nuova rampa di lancio verso quel secondo volo (ignorato da Seneca): "cercare e trovare la volontà di Dio nella disposizione di tutta la vita e salvare l'anima". Differenze, bisogna ripeterlo, vistose, ma che niente tolgono alla non meno sorprendente coincidenza riguardo al concreto valore ascetico dell'esame di coscienza, che sarà sempre la più efficace tecnica spirituale per consolidare un miglioramento progressivo.

Dove la differenza è più vistosa è nello stile letterario; in Sant'Ignazio, scarno e senza nessun smalto particolare; in Seneca, lampeggiante, comunicativo, diretto: direi anche, personale, poichè non ci dá soltanto la fotografia del momento in cui egli fa l'esame (a letto, a luci spente, cum conticuit uxor), ma ci descrive il puntuale effetto terapeutico della predica che ha dovuto rivolgere a se stesso: quam tranquillus, quam altus ac liber somnus !

A proposito di Paolina, seconda moglie di Seneca, consentitemi una fantasiosa evasione; essendo costei figlia di un romanus eques Arelatensis, di Arelate, cioè di Arles (nella Provenza = Provincia), potrebbe il pensiero di qualcuno evocare a questo punto, per due motivi, L'Arlésienne (Bizet). Primo, perché Paolina era anagraficamente "arlesiana"; secondo, perchè lo era anche in quel senso che ha in francese "L'Arlésienne"; "protagonista della quale sempre si parla... senza che mai essa si faccia presente!"

Ciò detto, gustiamoci ora in serenità questa splendida e scintillante pagina, eterna e modernissima ! La potrei chiamare "antitossina" contro il tangentismo. Si trovano qui, infatti, due accenni ben concreti: l'esame di coscienza punta ad una terapia contro la "corruzione"; ma anche a "comparire coram iudice" che è una frase spontanea e perfino esplicita !

SENECA, III De Ira, XXXVI

OMNES SENSUS PERDUCENDI SUNT AD FIRMITATEM;
natura patientes sunt, si animus illos desiit corrumpere
QUI COTIDIE AD RATIONEM REDDENDAM VOCANDUS EST.

Faciebat hoc Sextius, (is Senecae magister fuerat)
ut consummato die,
cum se ad nocturnam quietem recepisset,interrogaret animum suum:
QUOD HODIE MALUM TUUM SANASTI? CUI VITIO OBSTITISTI?
QUA PARTE MELIOR ES ?

Desinet ira et moderatior erit
quae sciet sibi COTIDIE AD IUDICEM ESSE VENIENDUM.
Quidnam ergo pulchrius hac consuetudine excutiendi totum diem ?

Qualis ille somnus post recognitionem sui sequitur !
Quam tranquillus, quam altus ac liber,
cum aut laudatus est animus aut admonitus
et speculator sui censorque secretus cognovit de moribus suis !

Utor hac potestate et cotidie apud me causam dico.
Cum sublatum e conspectu lumen est
et conticuit uxor, moris mei iam conscia,
totum diem meum scrutor factaque ac dicta mea remetior;
nihil mihi ipsi abscondo, nihil transeo.

Quare enim quidquam ex erroribus meis timeam, cum possim dicere:
Vide ne istud amplius facias, nunc tibi ignosco.

In illa disputatione pugnacius locutus es:
noli postea congredi cum imperitis;
nolunt discere quae numquam didicerunt !

Illum liberius admonuisti quam debebas,
itaque non emendasti, sed offendisti;
de cetero vide, non tantum an verum sit quod dicis,
sed an ille cui dicitur veri patiens sit;
admoneri gaudet bonus, pessimus quisque rectorem asperrime patitur!...

Utiliter reliqua quaeretis; sequitur enim sui admonitio.
Addo autem aliqua, item opportunissima, ex Libro JOB, c.33,
quae de hac "visione nocturna" utilia pariter docent.

Semel loquitur Deus, et secundo idipsum non repetit.
Per somnium in visione nocturna,
quando irruit sopor super homines et dormiunt in lectulo,
tunc aperit aures virorum et in visionibus terret eos,
ut avertat hominem ab his quae facit,
et liberet eum de superbia, eruens animam eius a fovea
et vitam illius, ut non transeat canalem mortis.

MARZO 10

Quell'incubo di un DRACULA
Realtà o mito ?

Ha consistenza storica questo DRACULA, personaggio ad alta percentuale di truculentia, crematisticamente sfruttato dalla cinematografia mondiale ? Se è questa la vostra domanda, allora... bussate ad altra porta e consultate la più aggiornata Enciclopedia. Per me questo personaggio dovrebbe essere mitico dalla testa ai piedi: direi anzi, che i Paesi Balcanici, eredi parziali del genio greco, se lo sono inventati di sana pianta, per non essere di meno a nessun altro in quanto a fertilità letteraria. Esattamente come i Greci si erano inventati il loro Ulisse, o le Arpie, eterne guastafeste; come i Romani hanno idealizzato Enea o Numa Pompilio.

Qui vi lascio in balia alle vostre immaginazioni, perchè i limiti di una pagina mi obbligano a decollare sul terreno concreto. E concretissima sarà la sbalorditiva pagina che nessuno di voi immaginava di trovare qui, imbastita in lucido latino, prodotto nientemeno in una Cancelleria in piena regola. Vi aggiungerò anzi quel pezzeto di araldica, che potrebbe far gola ai designers di quelle case cinematografiche che a regolare scadenza e con tambureggiante pubblicità - 162 films! - ci ammaniscono una fiaba di wampiro innamorato, tra il pipistrello e il dandy transilvanico!

Dovrò anche trovare spazio per un'altro antefatto; la stessa Cancelleria di Vienna sottoscriveva lo stessissimo giorno un documento del tutto indipendente: le formalità legali di un passaggio, al DRACULA di carne ed ossa, dei beni confiscati ad un presunto "traditore". Vedetela voi !

VIENNAE, 20 ianuarii 1535. Datae hodie sunt litterae ad Relationem Reverendi Francisci Wylaky praepositi Posoniensis et Secretarii Regiae Maiestatis quibus mediantibus Regia Maiestas bona nobilis Ioannis Zalanczy, in partibus regni Transsylvaniae in quibuscumque comitatibus habita, ad numerum sedecim colonorum vel circiter se extendentia, quae per NOTAM INFIDELITATIS eiusdem, quippe qui partes adversarii Suae Maiestatis Joannis de Zapolya est sequutus, simul cum cunctis suis utilitatibus et pertinentiis quibuslibet, Egregio LADISLAO DRAKULYA DE SEMTHEESTH, ac per eum fratri eiusdem Ioanni ipsorumque haeredibus et posteritatibus universis DEDIT, DONAVIT et CONTULIT, salvo iure alieno.

Dunque, un uomo in correttissima regola con l'anagrafe, che subentra come proprietario ad un "traditore". (E state attenti, poichè l'unità di superficie terriera non è il nostro èttaro, bensí il COLONUS). Ecco dunque il privilegio regale - di stile rigorosamente paludato - che accredita il Conte Drakulya al recupero del proprio "design" araldico: i famigerati e temutissimi tre denti di lupo !

ANDREAS VERESS,
Fontes et Epistolae Relationum Transylvaniae Hungariaeque
cum Moldavia et Valachia. Budapest 1914, pp. 248-250

Nos, FERDINANDUS etc. memoriae commendamus, etc.

Quum recte ac sapienter consueverint
Principes rerumque moderatores
subditorum suorum virtutes ac merita,
non solum liberalitate ac praemiis prosequi,
verum etiam GLORIAM DECUSQUE
eorum monumentis litterarum ad posteros diffundere:
hunc bonorum Principum morem imitari volentes,
cum fidelis noster egregius LADISLAUS DRAKULYA DE SEMTHEEST
nobis supplicasset (atque etiam commendatio aliorum fidelium nostrorum,
potissime vero...) ut arma insigniaque a maioribus suis relicta,
quae hoc fluctuanti Regni statu utcumque deperiissent,
eidem nova nostra donatione concedere dignaremur:
consideratis maiorum suorum meritis,
quae nec parva nec obscura fuisse memorantur;
habentes etiam rationem fidelitatis servitiorumque
eiusdem Ladislai Drakulya VETERA INSIGNIA FAMILIAE SUAE:
scutum videlicet rubri coloris,
EX CUIUS DEXTRO LATERE TRES PROMINENT DENTES LUPINI
usque ad alterum scuti latus protensi,
dentes ac scutum ensis cruentatus dividit,
eo argumento, quod maiores sui
strenue ac fortiter sacrae nostri Regni Coronae inservientes
haec insignia acceperint a divis Regibus, praedecessoribus nostris...,
animo deliberato et ex nostrae Regiae potestatis plenitudine
eidem Ladislao DRAKULYA ac per eum Ioanni fratri eiusdem carnali
ipsorumque haeredibus et posteritatibus universis,
denuo danda duximus et conferenda,
immo DAMUS, DONAMUS ET CONFERIMUS AC CONCEDIMUS,
decernentes ut ipsi omnisque eorum posteritas
praescripta arma et insignia ubique,
in proeliis, hastiludiis, torneamentis,
duellis, sigillis, velis, cortinis et in quibuslibet
exercitiis honoribusque nobilitaribus et militaribus
instar aliorum Regni nostri Hungariae Nobilium,
quomodolibet de iure vel consuetudine armis utentium,
uti frui et gaudere semper libere valeatis atque possitis,
omnisque eorum posteritas VALEAT ATQUE POSSIT.

In cuius rei memoriam firmitatemque perpetuam
praesentes litteras nostras privilegiales,
secreto sigillo nostro, quo ut Rex Hungariae utimur,
pendenti communítas et roboratas, eisdem duximus concedendas.

Datum Viennae, in festo Beatorum Fabiani et Sebastiani martyrum,
anno Domini 1535,.
Regnorum nostrorum Romani anno quinto, reliquorum vero nono.

MARZO 11

L'ETERNO SILENZIO Del cosmos...

Che il sole e la luna, e più ancora, la ben più alta volta del cielo, con quel suo silenziosissimo coro di stelle, abbiano provocato da sempre il senso del sacro, è assai noto. Come del resto è anche diffusissimo che Pitagora, e anche il Cicerone del Somnium Scipionis, ascoltavano di là chi sa quale "musica celestiale"! Altrove (cf.4 Ott.) metteremo a confronto con questa pagina la dolente esperienza fatta da uno di quei coraggiosi missionari dei Guaraní presso un "cacique" alle sponde del grande fiume Paranà. Ichoalay, questo il suo nome, confesserà ingenuamente di non aver mai guardato al cielo se non per calcolare "se mai sarà domani la desiderata giornata di caccia..."

Ma in Seneca non è nemmeno l'andamento poetico di questa bellissima pagina che conta. Conta di più la sensibilità religiosa, lo stupore sacrale col quale egli osserva il regolare e ininterrotto spettacolo dell'assiduo volgere del sole e della luna, e sopra tutto l'arcano silenzio sidereo, che è per lui, non inerte, bensì dinamico! Ista, quae tu non aliter quam IN DECOREM sparsa consideras, SINGULA IN OPERE SUNT! Non sarà questa la stessa intuizione di Van Gogh nella sua celeberrima "Notte stellata"? Non si ferma Seneca ad attribuire agli astri e alle stelle alcuna precisa superstizione, e fa bene: si accontenta di vederli obbedienti al visibile compito superiore: girare cioè e rigirare (per darci la misura del nostro tempo? Fecisti Lunam ad tempora signanda, dice il Psalmo 103, 16); e gli basta questa obbedienza misteriosa e questo minimo legame con la divinità, per attribuire loro perfino una non polemica qualifica di déi, che non ci scandalizza affatto (perché è proprio il suo concetto di DIO quello che non coincide con il nostro, come neanche coincide quello altro accenno, che il sole sia dignus adorari).

L'altro avvertimento sarà ameno... e anche religioso: se la Luna dovesse un giorno adagiarsi soavemente sul Mare Nostrum, quanto spazio credete ci ruberebbe quell'inerte pietrone ? Prendete le vostre misure: con le mie, ritrovo la distanza Gibilterra-Beyrouth. La LUNA (otiosum sidus per Seneca), ha ricevuto dal Padre Eterno l'incarico di impedire che, privi di maree, i nostri mari diventassero una puzzolente pozzanghera !

Sulla luna e le maree, vi risulterà divertente la pagina del 1º dicembre.

Interessante pure il problema che Lucano dice di aver sentito proprio dinanzi al porto di Monaco Principato:

Quaque iacet litus dubium quod terra fretumque
vindicat alternis vicibus, cum funditur ingens
Oceanus vel cum refugis se fluctibus aufert.

Egli vorrebbe saperne la causa: Quaerite quos agitat mundi labor! ma... si rassegna personalmente a rimanere al buio: tu, quaecunque moves tam crebros causa meatus, ut superi voluere, late. (Farsalia I,409 ss).

SENECA, IV De Beneficiis, XXIII

Num dubium est
quin hoc humani generis domicilium
circumitus SOLIS ac LUNAE vicibus suis temperet ?
quin ALTERIUS calore alantur corpora, terrae relaxentur,
immodici humores comprimantur,
adligantis omnia hiemis tristitia frangatur ?,
ALTERIUS tepore efficaci et penetrabili
regatur maturitas frugum ?
quin ad HUIUS cursum fecunditas humana respondeat ?
quin ILLE annum observabilem fecerit circumactu suo,
HAEC mensem, minoribus se spatiis flectens ?

Ut tamen detrahas ista,
non erat ipse SOL idoneum oculis spectaculum
dignusque adorari,
si tantum praeteriret ?
Non erat digna suspectu LUNA
etiam si OTIOSUM SIDUS transcurreret ?

Ipse mundus,
quotiens per noctem ignes suos fudit,
et tantum stellarum innumerabilium refulsit,
quem non intentum in se tenet ?
quis sibi illa tunc, cum miratur, prodesse cogitat ?

Aspice ista tanto superne coetu labentia,
quemadmodum velocitatem suam
sub specie stantis atque inmoti operis abscondant !

Quantum ista nocte,
quam tu IN NUMERUM AC DISCRIMEN DIERUM observas, agitur !

Quanta RERUM TURBA sub hoc silentio evolvitur !
Quantam FATORUM SERIES certus limes educit !

ISTA,
quae tu non aliter quam IN DECOREM sparsa consideras,
singula IN OPERE sunt !

Neque enim est quod existimes,
SEPTEM sola discurrere, CETERA haerere.

Paucorum motus comprehendimus,
innumerabiles vero longiusque a conspectu seducti
DII eunt redeuntque,
et ex his, qui oculos nostros patiuntur,
plerique obscuro gradu pergunt
et per occultum aguntur.

MARZO 12

Depurando
il concetto di DIO

Non è ancora in uso, al tempo di Seneca, la nostra odierna e netta divaricazione tra Filosofo, Teologo, Scienziato. Andrebbe bene per tutti un generico "ricercatore", tradotto come sapiens. Le idee di Seneca non ci vengono proprio esposte secondo le migliori formole metodologiche, ma possiamo ripescarle un po'dovunque.

Riguardo all'eventuale domanda, che nessuno gli ha rivolto,"quale è per il sapiens il vero concetto di DIO"? noi dobbiamo fare lo sforzo di mettere insieme elementi e ragionamenti spesso sconnessi. Ecco tuttavia, alla fine di un lungo ragionamento o predica sui benefici elargiti dagli déi all'umanità, il brano forse più analitico, che ben può essere considerato come la più impegnata risposta.

Natura, inquis, haec mihi praestat! Ma, non vedi che stai scambiando NATURA con DEUS ? Tuttavia, prosegue Seneca, puoi cambiarlo quanto vuoi, e chiamarlo, se così piace, IOVEM OPTIMUM MAXIMUM, vel TONANTEM, vel STATOREM. Anche se lo chiami FATUM, è sempre la stessa cosa...! Ecco la chiave: TOT APPELLATIONES EIUS ESSE POSSUNT QUOT MUNERA! Per questa via accetta Seneca, per il SOMMO DIO (e perciò anche UNICO) anche le altre denominazioni: LIBER, HERCULES, MERCURIUS. La conclusione è quanto mai lucida e trasparente: Nec NATURA sine DEO est, nec DEUS sine NATURA, sed idem est utrumque, distat officio.

Il resto sarebbe una explicatio ad abundantiam, su due chiavi di interpretazione: se tu hai un conto con me (Lucio Anneo Seneca), così testualmente, potrai dire a scelta di averlo con LUCIO, con ANNEO, con SENECA. Così anche, quando descrivi l'animo umano per una qualsiasi delle sue virtù, descrivi sempre lo stesso animus, che è virtuoso.

Viene da domandarci: con quale diritto possiamo escludere un filosofo così lucido dalla qualifica di "monoteista"? e perchè una parola sbagliata dobrebbe bastare per qualificarlo come "panteista" ?

Seneca sarà ancora più esplicito sul totale vuoto della mitologia tradizionale. Quando, nel De Vita Beata (cap.26), rasenta il tema delle fandonie che i poeti affibbiano a Giove, egli può permettersi questa conclusione per niente equivoca: Quibus nihil aliud actum est quam ut pudor hominibus peccandi demeretur, si TALES deos credidissent.

E per chiudere correttamente queste riflessioni, ecco una citazione essenziale, da altra fonte ovviamente, ed essa è contemporanea del nostro Seneca, cioè dalla RIVELAZIONE: Deum nemo vidit umquam; unigenitus Deus, qui est in sinum Patris, ipse enarravit (Io 1,18). (Vedere anche Seneca al 15 maggio).

SENECA, IV De Beneficiis, VIII

IOVEM dicis OPTIMUM MAXIMUM, et TONANTEM, et STATOREM,
(qui non, ut historici tradiderunt,
ex eo quod, post votum susceptum,
acies Romanorum fugientium STETIT;
sed quod STANT beneficio eius omnia
Stator Stabilitorque est).

Hunc eumdem et FATUM si dixeris, non mentieris;
nam quom fatum nihil aliud sit
quam series implexa causarum,
ille est PRIMA OMNIUM CAUSA, ex qua ceterae pendent.

QUAECUMQUE VOLES, ILLI NOMINA PROPRIA APTABIS,
vim aliquam effectumque caelestium rerum continentia.
TOT appellationes eius possunt esse QUOT munera.

Hunc et Liberum Patrem
et Herculem et Mercurium nostri putant:

LIBERUM PATREM, quia omnium parens sit,
quoi primum inventa seminum vis est
consultura per voluptatem vitae perpetuitati;

HERCULEM, quia vis eius invicta sit,
quandoque lassata fuerit operibus editis, in ignem recessura;

MERCURIUM, quia ratio penes illum est
numerusque et ordo et scientia.

Quocumque te flexeris,
ibi ILLUM videbis occurrentem tibi;
nihil ab ILLO vacat, opus suum IPSE implet.

Ergo nihil agis, ingratissime mortalium,
qui te negas DEO debere, sed NATURAE,
quia nec NATURA sine DEO est, nec DEUS sine NATURA,
SED IDEM EST UTRUMQUE, DISTAT OFFICIO.

Si, quod a Seneca accepisses,
Annaeo te debere diceres vel Lucio,
non creditorem mutares, sed nomen,
quoniam sive praenomen, sive nomen dixisses, sive cognomen,
idem tamen ille esset.

OMNIA EIUSDEM DEI NOMINA SUNT
varie utentis sua potestate.

Et iustitia, probitas, prudentia, fortitudo, frugalitas,
UNIUS animi bona sunt;
quidquid horum tibi placuit, ANIMUS placet.

MARZO 13

Pagina
URBI GUATIMALAE dicata

Ora, per quei lettori che non sapessero niente della Rusticatio Mexicana del gesuita Rafael Landívar, finito al momento dell'estinzione della Compagnia di Gesù (come tanti altri spagnoli e latinoamericani: anno 1767) in quel di Bologna, voglio additare una sua opera di enorme risonanza umanistica. Non sono necessari altri commenti, poichè sarà egli stesso a presentarsi, nella seconda edizione del suo famoso poema, cioè nella Editio auctior et emendatior (Bononiae 1782):

RUSTICATIONIS MEXICANAE huic carmini praefixi titulum,
tum quod fere omnia in eo congesta ad agros mexicanos spectant,
tum etiam quod de Mexici nomine
totam NOVAM HISPANIAM vulgo in Europa appellari sentiam,
nulla diversorum Regnorum ratione habita.

In hoc autem opusculo nullus erit fictioni locus...
Quae vidi refero,
quaeque mihi testes oculati, ceteroqui veracissimi, retulere.
Praeterea
curae mihi fuit oculatorum testium auctoritate subscripta,
quae rariora sunt, confirmare.

Ecco, ora, per cominciare, la dedica alla sua città di nascita, Guatemala, che andava a quel tempo risorgendo a non molta distanza dalla precedente, interamente distrutta da un violento terremoto. (E ci sarà anche questo episodio nel poema).

Attenti alla musica! Rieccheggierà Virgilio, ma con una nuova, arcana ed esotica tonalità. E che dire poi della trasparenza ?

---- RISUM TENEATIS, AMICI !------------------------------

Dum concionator, minitabundus, inferni describit poenas,
"ibi erit planctus et stridor dentium",
ex audientibus unus exclamat:
- Et quid mihi exspectandum, qui dentibus careo ?
- Stulte, prosequitur concionator,
dentes ibi pro omnibus abunde prostabunt !

Dedica
della "RUSTICATIO MEXICANA"

Salve, cara parens, dulcis Guatimala, salve,
delicium vitae, fons et origo, meae:
quam iuvat, alma, tuas animo pervolvere dotes,
temperiem, fontes, compita, templa, lares !

Iam mihi frondosos videor discernere montes
ac iugi virides munere veris agros.
Saepius in mentem subeunt labentia circum
flumina et umbrosis littora tecta comis:
tum vario cultu penetralia compta domorum
plurimaque Idaliis picta vireta rosis.

Quid vero, aurato repeto si splendida luxu,
serica vel tyrio vellera tincta mari ?
Haec mihi semper erunt patrii nutrimen amoris
inque arctis rebus dulce levamen erunt.

Sed fallor: placidam, ah! versant ludibria mentem
illuduntque animum somnia vana meo!
Nam quae arces magnique caput spectabile Regni
urbs fuerat nuper, nunc lapidum cumulus !

Non aedes, non templa manent, non compita genti,
nec qua tuta petat culmina montis habet.
Omnia praecipiti volvuntur lapsa ruina,
ceu Iovis allatis ignibus icta forent.

Quid tamen haec doleo? surgunt iam celsa sepulchro
limina, se tollunt ardua templa polo.
Flumine iam fontes undant, iam compita turba
iamque optata venit civibus alma quies.
Scilicet ut phariae volucri felicior urbi
e proprio rursus pulvere vita redit.

Gaude igitur rediviva parens, urbs inclyta regni,
excidioque novo libera vive diu:
et clarum subita partum de morte triumphum,
laudibus ipse tuum promptus in astra feram.

Interea raucum, luctus solatia, plectrum
accipe: sisque loco muneris ipsa mihi.

L.c., cioè in apertura al Poema, che si snoda in
15 libri -di 350 versi circa- più un'Appendice di
ringraziamento alla città che lo ospita, Bologna.

MARZO 14

Massalubrense e la Costiera Amalfitana

L'autore della pagina odierna non conosceva probabilmente altro itinerario tra SORRENTO e AMALFI se non quello marittimo; bellissimo invece è oggi quello terrestre (magari in Vespa, e mi sto leccando i baffi con i miei ricordi personali, 1970). Il nostro latinista però parte via mare da Sorrento, e incomincia a vedere la Costa Amalfitana, superati i ruderi greco-romani di Massalubrense (Massa ad delubrum), nonché la Punta Campanella.

Sed iam tibi, Surrentinum Promontorium praetervecto,
sinus alter angustus magis magisque arcuatus sese oculis offert,
quem Surrentinum hinc, illinc Lubrense Promontorium
(CM admodum passuum intervallo distantia)
coërcent ac terminant.

Acclivi apricique colles oleisque vestiti,
caveaeque prae se speciem gerentes,
viridissimo quasi serto Sinum cingunt atque intercurrunt.

Is a Pollio Felice nomen obtinet,
qui hic superbissimam olim villam extruxit
et duobus fanis, Herculi uno, Neptuno altero exornavit.
Illius monumenta, quae ab iniuria temporis adhuc vindicantur,
vel ipsis ruinis admiranda sese commendant...

Plurima per colles oppidula hac illac,
velut sparsim consita frequentius habitantur,
quae cuncta, uno eodemque vocabulo,
MASSAM AD DELUBRUM incolae indigitant...

Superest ultima lingula, quae ad Promontorium usque Minervae
sensim acuminata procurrit...

Minervae Promontorium est, ita vocatum a deae delubro,
quod Graecos olim, qui terras hasce primi incoluerunt,
fabricasse memoriae proditum est.

Illius vestigia adhuc exstant:
nimirum pavimentum opere tessellato,
eque perlucidis lapillis affabre coagmentatum,
et columnae marmoreae, in quarum capitulis
noctuae, Palladi sacrae, insculptae sunt.

Segue ora LA COSTIERA AMALFITANA !

NICOLAUS GIANNETTASIO, Aestates Surrentinae, lib.I cap.I.

Meridionale latus,
etsi saxis scopulisque asperum et cultus minime patiens,
tamen convalles plurimas et maritimos colles habet
amoenos aeque ac feraces.

Accedit hominum industria,
quae ibi maior esse consuevit ubi minus terra subministrat.
Ita enim hominum genus est ut
indigentia solers et patiens laborum fiat,
ubertate vero deses et amans voluptatis et otii.

Hinc videre licet durissimos vertices emollitos,
victamque silicum pervicaciam:
et quà oleis, quà citreis,
quà malis atlantaeis pulcherrime convestiri.

Sicubi vero tellus paulo mollior est,
et succi plus habet, ibi pectita magis;
et vel vitibus consita est vel pomis.
Nempe nullum tam asperum saxetum,
in quo agricolarum industria non elaboret !

Universus orae tractus
tot urbibus ac oppidis,
tot villis ac vicis refertus,
situ tam eleganti, tam vario,
ut praeternavigantibus
iucundissimae scenae ac sese identidem variantis
speciem praeseferat.

In theatri medio sedet AMALPHIS,
olim emporio et commerciis celeberrima,
cui ob nauticae pixidis divinam paene dixerim inventionem,
navigandi ars quam plurimum debet.

Aër hyeme apricior hic ac temperatus,
aestate vero,
frigidiusculis afflatus auris,
quam placidissimus.

Ora omnis maritima
reductis sinibus commoda, fontibus irrigua
atque, antris quamplurimis, et amoena et opaca.

Mare vero ipsum maxime piscosum est,
praecipue ad Sirenusas,quae insulae, turritae quasi speculae,
non longulo a litore spatio absunt.
Quae cum thymo fere semper virescant,
laetissima vervecibus pascua suppeditant...

MARZO 15

Una scimmietta... sorrentina !

Scoprirete in seguito che, con la somma totale delle mie pagine, ho cercato di aprirvi uno ZOO... letterario. Mi mancava la scimmia, ed eccola qui, col privilegio o quasi di affacciarsi per prima. Fornitore di questo zoo? Questa volta non è il solito boemo Balbìn, bensì il nostro allegro napoletano Giannettasio. (Altri fornitor: Balbín e Dobrizhofer!)

Sono del resto ben sicuro che, per quanto queste giocherellone bestiole piacciano di più, principalmente ai giovanissimi, in visione diretta nello zoo, sarà tuttavia piacevole trovarsele qui nella trasparenza fotografica di questo spassoso latino ! Per di più, la scimietta risulterà eccezionale campionessa. La vedremo in due tempi: prima nel vestibolo (qui, nell'introduzione), poi nell'intimità di una gentile visita, in quel di Sorrento, poco prima del 1700. A mezzogiorno di una giornata di afa e con sottofondo azzurro verso il Golfo.

GIANNETTASIO,
Aestatum Surrentinarum, lib.III, cap.VIII.

Iam confecto viae dimidio,
quod, hinc inde amplexantibus sese frondosis arborum ramis,
opacum est et solaribus radiis veluti interpictum,
in aedes cuiusdam N.N., mihi amicissimi, perveneram.
Hic illum pro foribus offendi.
Quem, ut primum video, statim saluto prosperumque diem impertio.

Ille vicissim et perquam benevole,
salvere iubet et laetum mihi diem ominatur.
Postea vero me rogat ne graver subsistere tantisper
sub porticu aedium suarum,
ex qua pulcherrimus ad mare prospectus patet...
Ingressi igitur atrium, sub porticu sedemus.

Erat hic simia quaedam perridicula,
quae simul atque nos vidit, ut sunt hominum imitatrices,
statim nos salutat humano modo: osculum scilicet manu porrigens.

Nos, ne erga bestiam tam urbanam inurbani videamur,
illam eodem prorsus modo salutamus.
Qua illa vicissitudine officiorum, mirum quantum gavisa est !
Nihil sane honestius grato animo
quandoquidem id manifestissimis signis ipsa etiam bruta approbant.

Interea loci dum haec mutua officia exhibentur,
puer ex horto adest, quasillum ferens,
ficis tum dulcissimis tum frigidissimis,
quippe quae matutino rore affatim imbutae: etiam, bene plenum.

Tum amicus me rogat ut hortuli sui ficus gustem:
illas esse delicatissimas et perquam raras
(erant autem lydiae mamillanae,
tam grandes quales nullibi unquam conspexeram).

Illi ego gratias ago pro sua in me benevolentia,
quam mihi continuo praestabat:
ceterum illud stomacho noxium futurum, quippe delicatissimo,
neque mihi id moris esse ut diem frangerem adeo tempestive !

Tum meos socios rogat ut saltem ipsi,
qui iuvenes ac vegetiores erant, ficu vires reficiant.
Cui tum illi: Ne inurbanitatis -inquiunt- arguamur,
unam vel alteram delibabimus.

Interea cum simia videret me a ficis continere,
gestu perquam humano rogat ut,
quas ego nollem ficus, porrigerem sibi;
dextraque manu stomachum premens,
et validum esse et vegetum indicabat.
Mirum oppido bruti animantis ingenium !

Tum ego binas ficus, et mites et grandiusculas,
accipio e quasillo simiaeque porrigo. Illa vero,
-mirabilis certe quidem animantis indoles-
laeva ficus accepit,
dextra vero manu totidem mihi oscula porrexit:
nempe accepti muneris gratias agens;
quam grati animi significationem saepenumero in homine desideres.

Deinde ficus diligentissime mundat,
detracto nimirum cortice duriusculo iuxta pedunculum.
Mox gestu nos admonet
ut ipsam, quodque factura esset, inspiceremus.

Cum omnes ad fabulam convertissent sese
atque avidissime expectarent quodnam ridiculum datura esset,
illa, postquam multam de se expectationem movit,
ficum recta sursum iacit,
simulque hiantem buccam recta item in caelum convertit,
quasi recta collimatura in scopum.
Et quidem, tam dextere os admovit,
ut relabentem ficum ita ore exceperit,
ut ne transversum quidem unguem aberraverit !

Quam cum deglutisset, nosque plauderemus illius dexteritati,
tanta laetitia gestire visa est,
ut et mirum esset et perridiculum.
Usque adeo vel bruta ipsa
datae diligenter sciteque fabulae gloriola capiuntur !

MARZO 16

Le scimmie di Meliapur (1)

Dopo il placidissimo racconto della scimmietta sorrentina, la memoria del nostro bizzarro Giannettasio preferisce spaziare su orizzonti lontani, e scava, chi sa da quale resoconto di qualche missionario indiano, un ricordo che, a dir poco, risulterà spasossissimo. Ci guideranno le strategiche parole di aggancio: Occasione cuiusdam simiae perquam lepidae, festiva quaedam historia de simiis indicis, quae se internecino odio persequuntur, refertur. Premetteremo anche noi la sua introduzione:

GIANNETTASIO,
Aestatum Surrentinarum, ad finem.

Hic ego,
ut amicorum risum ac festivam illam hilaritatem foverem
(scio quippe me fingere ad omnes horas),
ostentatam occasiunculam illico arripio.

Audite quaeso, inquam, de simiis quibusdam indicis,
ridiculam quamdam historiolam,
quam narrare operae pretium auribus erit...

In illo Indiae tractu,
qui Orientem et Gangeticum Sinum spectat,
circa Meliaporem, illius orae principem urbem,
campi quidam sunt arenosi,
qui ad eos usque Montes pertinent,
qui, quasi Apennini, Peninsulam illam medii secant....

In illiusmodi campis sylvae quam plurimae sunt,
cuiusdam arboris qui arundinis nostratis prae se speciem gerit:
BAMBUCUM barbari vocant.
Istaec vero arbor, adeo excrescit,
ut altissimas arbores aequet, trunco duro et latiore.
Illis longo hinc illinc ordine viae praetexuntur
tanta multitudine ut magnas videre sylvas liceat,
solum late inumbrantes.

In huiuscemodi sylvis
incredibilis paene simiarum multitudo inhabitat.
Sed, quod sane permirum est, duos veluti in populos divisae !

Quae laevam tenent, gens una est;
altera vero, quae dexteram occupat.
Inter illas nulla omnino commercia
immo, PERPETUUM BELLUM est
seseque internecino odio persequuntur !
Habent quippe bruta sua regna, lares suos, suas item factiones,
quorum causa et odia alunt et bella gerunt !

Huiusmodi simiae sunt
coctae oryzae, conditae sale patrio, quam maxime appetentes
et ut illam nactae sunt, avidissime convolant;
quocirca accolae gentes,
quibus illarum cognita perspectaque sunt ingenia,
brevi apparatu, sed magno risu ac voluptate,
festivissimam sibi comoediam comparant hoc modo:

complures scutelas oryza plenas
certa per intervalla disponunt in via;
iuxta vero scutelas, plurimos vel fustes vel baculos tornatiles,
bipedales, latosque uno digito collocant.
Deinde certum in locum,
ex quo fabulam (dicam verius gladiatorium spectaculum)
extra ictum securi cernere possint, de repente recedunt.

Simiae, simul ac e sylvarum verticibus, quibus excubant,
oryzam conspicantur,
statim in praedam advolant.

Videas geminos simiarum exercitus hinc inde instructos,
iamiam proelium inituros.
Victoriae vero candidam pultem praemium futuram,
illam item et laurum,
qua victrix acies donanda sit.

Principio minis sibi mutuo incussis, velitantur hoc modo:
dentibus frendent, frontem caperant, micant oculis,
malas diducunt, linguam exerunt,
sese quasi conviciis praescindentes:
manus iactant, digitos incurvant,
imbricatisque unguibus laniatus minitantur.

Ad summam, gestus tam varios, tam ridiculos faciunt,
ut illiusmodi velitatio
festivissimae instar comoediae spectatoribus sit,
quae vel a seriis atque tetricis quam maxime hominibus
risum solutissimum extorqueat.

MARZO 17

Le scimmie di Meliapur (2)

---- RISUM TENEATIS, AMICI ! -------------------------------

Inter studentes, praesertim si contubernio victitant,
accidunt saepe acerbissimae lites,
de rebus saepe minimis.
Frequentius litigant circa molestias
quae proveniunt ex usu cuiusdam instrumenti musicalis.
accidit autem ut alius sic alii irasceretur:

- Desine, quaeso, tandem,
nec pulsare ultra pergas citharam !
Seriis mihi studiis est incumbendum,
et cithara tua iam in eo est ut me in furorem inducat !

Cui alius:
- Induxit te procul dubio iampridem,
nam sesquihora transiit ex quo eam non tetigi !

Inter studentes, expleto examine scripto:
- Quaeris facilesne quaestiones an difficiles repererim?
Numquam difficiliores..!
Adeo ut folium tradiderim album.
- Consolare -inquit alius- idem et mihi omnino contigit.
- Pessime heus tu fecisti!
suspicabitur enim magister alium ex alio exscripsisse !

Publicus scriba secretarium suum fidenter sciscitatur:
- Num scis cur Titus in testamento
scripserit velle se omnino cineres suos
in mare proici?
- Causam numquam ille edixit, sed bene memini
eum identidem irasci quod eiurasset socrus
velle se supra ipsius bustum choream ducere !

Postea vero quam in hunc modum diu velitatum est,
signa conferuntur.
Etenim confidentiores factae, irruere incipiunt,
cominus pugnaturae:
verum illico ab adversariis territae,
tenent sese.

Resumptis mox animis, instant audacius
seseque veluti adhortantes urgent:
sed statim dubiae subsistunt.
Tandem timidae pedem referunt.

Rursus magno impetu ac clamore,
facto veluti classicis signo,
audacissimae quaeque in praedam simul ac periculum irrumpunt
(hae vero foeminae sunt,
illae vel maxime quae inter mammas simiolos habent,
nempe quae acrius fame vexantur:
quae magnum est in pericula incitamentum !)

Occurrunt confestim adversariae,
illas, vi facta, propulsurae,
sibique paratam praedam vindicaturae.
Verum enim,
cum fustes ac baculos illos ex industria ibi positos
in promptu habeant,
statim corripiunt utraque manu,
atque hisce armis pugnam committunt.

Quam perridiculum est videre simias sese mutuo verberantes
ac veluti fustuarium infligere,
tanta ira, tanto impetu,
ut quam longe
strepitus fustium et male mulcatarum clamor exaudiatur.

Tandem, ut diu varia fortuna pugnatum est,
terga dant victae, seque in sylvis occulunt.

Hic autem videre est,
non sine oblectatione multa multoque risu, simiarum
quasdam fracto verberibus capite,
quasdam mutilatas,
quasdam vero bene exossatas,
omnes tamen magnis eiulatibus terga vertere;
victrices vero convolare ad praedam,
oryzamque perquam avide devorare !

Atque hic finis et pugnae et comoediae est,
qui multis cachinnis applauditur.

MARZO 18

La Querela Pacis
Il Lamento della Pace !

La Querela Pacis, undique gentium eiectae profligataeque è il più impegnato degli opuscoli politici di Erasmo. Lo diede alla luce nel 1517. La PACE (retoricamente personificata) espone al tribunale dell'Umanità il suo desolato Lamento. Il discorso è così stringato, da non lasciare spazio alla distrazione.

Ecco dunque il mio problema: come stralciare un paio di pagine, dove tutte le 50 hanno lo stesso valore? E cosa dire come prefazione e guida, dove si può dir tutto e il contrario di tutto? Preferisco rimandare il lettore italiano ad una pregevole edizione bilingue, Strenna UTET 1968, dove anche l'introduzione è di proporzionato valore. Una sola obiezione posso fare: la riproduzione del testo latino, fatta con quella che oggi si ritiene doverosa fedeltà culturale, cioè, mediante la riproduzione anastatica della editio princeps, in realtà fà di esso un difficile aiuto, che addirittura rischia di scoraggiare il volenteroso lettore, perchè QUELLA tradizionale impaginazione dei primi anni della stampa, senza un solo punto e daccapo per ben 50 pagine! rende incapace l'amore a prima vista. Resterà sbigottito chi vorrà fare sul serio il paragone tra quella e QUESTA impaginazione !

C'è in compenso, la traduzione. Ma...! altro è l'Erasmo originale, in latino, altro lo stesso Erasmo in vestaglia vernacola: ve lo dice con parole coraggiosamente esplicite il traduttore (Luigi Firpo): "Tradurre Erasmo in maniera adeguata al suo magistero stilistico, alla sua padronanza superba dello strumento della lingua, modulata su una tastiera che attinge tutti i toni, dall'aulico al plebeo, è impresa disperata".

(Parole sacrosante: la ringrazio, professore; non è altro il mio punto di partenza: IL LATINO VA LETTO IN LATINO ! Chi non lo sa, ricarichi le batterie e faccia lo sforzo di impararlo. La ringrazio anche per la sua qualifica di questo "magistero stilistico"; essa mi ha suggerito l'audacia di segnalare a questo nostro mondo "guerrafondaio" l'urgenza di inserire nel palinsesto scolare anche la materia DE PACE. Si apra dunque la gara per il primo libro di testo: che potrebbe essere proprio questa QUERELA PACIS di Erasmo (pur di impaginarla a dovere). Per il resto vi apro una sommaria bibliografia: cercatela in LATINITAS 1995: Veterum scriptorum adagia ad pacem pertinentia. (pag. 254)

Ad bellum gestis?
Primum inspice cuiusmodi res sit PAX, cuiusmodi BELLUM,
quid illa bonorum, quid hoc malorum secum vehat;
atque ita rationem ineas num expediat pacem bello permutare !

ERASMUS, Querela Pacis, pp.40-44
(ex ea editione, ubi totum desinit p.50)

Si res quaedam admirabilis est
Regnum undique rebus optimis florens,
bene conditis urbibus, bene cultis agris,
optimis legibus, honestissimis disciplinis, sanctissimis moribus,
cogita tecum: haec felicitas mihi perturbanda est si bello !

Contra, si quando conspexisti ruinas urbium,
dirutos vicos, exusta phana, desolatos agros,
et id, spectaculum miserandum, ut est, visum est,
cogita hunc esse belli fructum !

Si grave iudicas
sceleratam conductitiorum militum colluviem
in tuam regionem inducere,
hos civium tuorum malo alere, his inservire, his blandiri,
immo horum arbitrio te ipsum ac tuam incolumitatem committere,
fac cogites hanc esse belli condicionem.

Si abominaveris latrocinia, haec docet bellum.
Si execraris parricidium, hoc in bello discitur.
Nam quì vereatur unum occidere commotus,
qui levi autoramento conductus tot homines iugulat ?

Si praesentissima reipublicae pestis est legum neglectus,
silent leges inter arma !
Si foedum existimas stuprum, incestum et his turpiora,
horum omnium magister bellum est !
Si fons omnium malorum est impietas et religionis neglectus,
haec belli procellis prorsus obruitur!

Si iudicas pessimum esse reipublicae statum
cum plurimum possunt qui pessimi sunt,
in bello regnant sceleratissimi;
et quos in pace suffigas in cruce,
horum in bellis primaria est opera!

Quis enim melius per devia ducet copias
quam latro exercitatus?
Quis fortius diripiet aedes aut spoliabit templa,
quam parietum perfossor aut sacrilegus?
Quis animosius feriet hostes et hauriet ferro vitalia
quam gladiator aut parricida?
Quis aeque idoneus
ad iniciendum ignem urbibus aut machinis
quam incendiarius ?
Quis aeque contemnet fluctus marisque discrimina
ac pirata, diutinis praedationibus exercitus ?

Vis palam cernere quam res sit impia bellum ?
Animadverte per quos geritur !

MARZO 19

Prosegue
la Querela della Pace

E, da parte mia, premetto qui un semplice suggerimento. Leggete questo Lamento della Pace col pensiero rivolto esplicitamente ai gravissimi danni dai confronti armati scelti pazzescamente nei nostri tempi dalla ex-Yugoslavia e altrove (Repubbliche caucasiche e africane non escluse: il caso Albania poi è proprio da impazzire!) nella ricerca di una nuova identità ! Nihil hos historia docuit ?

Si suas opes esse putet quidquid cives possident,
bellum omnibus rationibus evitet.
Quod, ut felicissime cadat, certe facultates omnium atterit,
et quod honestis artibus partum est,
in immanes quosdam carnifices erogandum.

Iam illud etiam atque etiam perpendant,
suam cuique blandiri causam et suam cuique spem arridere,
cum illa saepenumero pessima sit
quae commoto videatur aequissima,
et haec non raro fallit.

Sed finge causam iustissimam, finge exitum belli prosperrimum !
Rationem fac ineas omnium incommodorum quibus gestum est bellum
et commoditatum quas peperit victoria,
et vide... num tanti fuerit vincere !

Vix unquam VICTORIA contingit incruenta.
Iam habes tuos humano sanguine pollutos!

Ad haec supputa morum publicaeque disciplinae iacturam,
nullo compendio sarciendam.
Exhauris tuum fiscum, expilas populum,
oneras bonos, ad facinus excitas improbos...

Neque vero, confecto bello,
protinus belli reliquiae sopitae sunt:
Obsolescunt artes,
intercluduntur negotiatorum commercia...

Ut hostem includas,
prius temetipsum a tot regionibis cogeris excludere.
Ante bellum, omnes finitimae regiones tuae erant:
pax enim, rerum commerciis, facit omnia communia.
Vide quantam rem egeris; nunc vix tua est quae maxime tua est regio !

Ut oppidulum excindas, quot machinis, quot tentoriis opus est !
Imitatitiam urbem facias oportet ut veram evertas;
at minoris alium oppidum exstrui poterat !
Ne liceat hosti prodire ex oppido, tu exul a patria sub dio dormis.

Minoris constaturum erat aedificare nova moenia,
quam aedificata machinis demolire.

Ut ne computem hic quot pecuniarum effluit
inter exigentium recipientium ac ducum digitos
(quae sane pars est non minima);
quod si horum singula ad verum calculum revoces,
ni compereris decima impendiorum parte PACEM redimi potuisse,
patiar aequo animo me profligari undique.

Sed parum excelsi animi tibi videare
si quid remittas iniuriarum !
Immo nullum est certius argumentum
humilis animi minimeque regii quam ulcisci.

Maiestati tuae non nihil decedere putas,
si cum finitimo Principe agens, et fortasse cognato aut affini,
fortassis alias bene de te merito,
de tuo iure decedas aliquantulum.
At quanto humilius deicis maiestatem tuam,
dum barbaris cohortibus
et infimae sceleratorum faeci, nunquam explendae auro !

Subinde litare cogeris,
dum ad Cares vilissimos simul ac nocentissimos,
blandus ac supplex mittis legatos,
dum tuum ipsius caput, dum tuorum fortunas,
illorum credis fidei,
quibus nihil est neque pensi neque sancti !

Quod si quid iniquitatis videbitur habere pax
cave sic cogites: "hoc perdo" sed "tanti pacem emo".

At dixerit argutior aliquis:
"facile donarim, si res ad me privatim pertineat:
Princeps sum, negotium publicum, velim nolim, ago".
Non facile bellum suscipiet, qui nihil nisi publicum spectat.
Atqui, contra videmus, omnes belli causas
ex his rebus nasci quae nihil ad populum pertineant !

MARZO 20

Il "nodo gordiano"
Che cos'era ?

L'avete mai sentito nominare? Ai miei tempi del Liceo, era quasi un obbligo saperne. Oggi forse queste conoscenze "culturali' bisogna riacquistarle da capo. Quindi leggete questo episodio con attenzione.

Antefatti essenziali. Alessandro Magno, deciso a dar la caccia a Dario, non vuol concedergli una sosta (Dario imminens, quem nondum Euphratem superasse cognoverat); se ne trova ancora a lunga distanza, ma non perciò omette di avanzare con tutte le cautele (omnes suas copias contrahens, totis viribus tanti belli discrimen aditurus). Sta attraversando la Frigia, quella parte cioè dell'Asia Minore dove la distanza tra il Ponto, al Nord, e il Golfo di Cilicia, a Sud, è minima... Il resto, nel buon Latino di questo Quinto Curzio, che nessuno ha saputo mai dirci da dove viene e in quale preciso momento della storia di Roma bisogna collocarlo. Tuttavia, poichè lo spazio si trova, vi regalo un brano di Tacito, con il relativo problema: Perchè mai i critici non credono che questo Curtius Rufus sia proprio lo storico di Alessandro? A voi una risposta.

De origine Curtii Rufi, quem gladiatore genitum quidam prodidere,
neque falsa proderim et vera exsequi pudet.
Postquam adolevit, sectator quaestoris cui Africa obtigerat,
dum, in oppido Adrumeto,
vacuis per medium diei porticibus secretus agitat,
oblata ei species mulieris ultra modum humanum,
et audita est vox:
"Tu es Rufe qui in hanc provinciam pro consule venies".
Tali omine in spem sublatus, digressusque in Urbem
et largitione amicorum, simul acri ingenio, quaesturam,
et mox nobiles inter candidatos
praeturam principis suffragio assequitur;
quum hisce verbis Tiberius dedecus natalium eius velavisset:
"Curtius Rufus videtur mihi ex se natus".
Longa post haec senecta et adversus superiores tristi adulatione,
arrogans minoribus, inter pares difficilis,
consulare imperium, triumphi insignia,
ac postremo Africam obtinuit,
atque, ibi defunctus, fatale praesagium implevit.

(Tacito, Ann. XI, 21.)

Vi aggiungo ancora: questa particolare "visione" di Curtius Rufus la riporta anche Plinio nella sua famosa lettera sui fantasmi, senza il minimo accenno agli altri connotati. E`dunque egli il noto storico o no?

Qui troverete 5 giornate su Alessandro; altre 5 a Novembre.

CURTIUS RUFUS, De rebus Alexandri Magni, lib.III,c.II-III

Gordium nomen est urbi
quam Sangarius amnis interfluit,
pari intervallo Pontico et Cilicio Mari distantem.
Inter haec maria
angustissimum Asiae spatium esse comperimus,
utroque in arctas fauces compellente terram.
Quae, quia continenti adhaeret,
sed magna ex parte cingitur fluctibus,
speciem insulae praebet:
ac nisi tenue discrimen obiiceret,
maria, quae nunc dividit, committeret.

Alexander, urbe in suam ditionem redacta,
Iovis templum intrans,
vehiculum quo Gordium, Midae patrem,
vectum esse constabat aspexit,
cultu haud sane a vilioribus vulgatisque usu abhorrens.

Notabile erat iugum
adstrictum compluribus nodis
in semetipsos implicatis et celantibus nexus.

Incolis deinde affirmantibus
editam esse oraculo sortem
ASIAE POTITURUM QUI INEXPLICABILE VINCULUM SOLVISSET,
cupido incessit animo
SORTIS EIUS IMPLENDAE.

Circa Regem erat et Phrygum turba et Macedonum;
illa expectatione suspensa,
haec sollicita ex temeraria Regis fiducia:
quippe serie vinculorum ita adstricta
ut unde nexus inciperet quove se conderet
nec ratione nec visu percipi posset;
solvere aggressus
iniecerat curam
ne in omen verteretur irritum inceptum !

Ille nequicquam diu luctatus cum latentibus nodis:
NIHIL-inquit-INTEREST QUO MODO SOLVANTUR !

Gladioque ruptis omnibus loris,
oraculi sortem
VEL ELUSIT VEL IMPLEVIT.

Cum deinde Darium,
ubicumque esset, occupare statuisset...

MARZO 21

Quel turbinio guerresco di ISSO !

Chi non ha ancora fisso nella memoria quell'efficacissimo mosaico (procedente da una esedra della Casa del Fauno di Pompei) che rappresenta il momento drammatico del tu per tu tra Alessandro e Dario nella polverosa pianura di Issos ? Chi ha visto queste splendide immagini nel capolavoro del Museo Nazionale di Napoli ricorderà come diventava difficile sentirsi soltanto spettatore. Quella istantanea storica sembra fatta apposta per coinvolgerci tutti quanti. (E qui vi sto riportando parole di una eloquentissima guida, che meglio non si può!). Chi non abbia fatto questa esperienza, potrà ritentarla attraverso una qualsiasi riproduzione. Guardatelo bene: due occhi carichi di prepotenza inarginabile, si affrontano ad altri occhi, non meno gonfiati dallo stesso odio, nella consapevolezza di starsi a giocare il tutto per il tutto proprio in questo momento.

E come sottofondo nella panoramica profondità del dipinto, il turbinio sonoro di tanti e tanti cavalli e guerrieri, nessuno dei quali è stato sorpreso in una posa statica, malgrado i limiti dell'arte del mosaico !

Voglio augurarmi che la pagina odierna (che è indubbiamente la base letteraria di quel favoloso mosaico) procurerà ad ogni lettore preparato il godimento di poter ripercorrere, per via letteraria, le stesse emozioni che la forza visiva dell'immagine gli avrebbe regalato.

CURTIUS, De rebus Alex.Magni, lib.III, c.XXV-XXVI

---- RISUM TENEATIS, AMICI ! ------------------------------

Amentium sinceritas

Novus manicomii doctor, adeo paucis diebus
comitate et urbanitate
popularem "internorum" gratiam lucratur,
ut transacta vix hebdomada,
unus ex amentibus ad eum exsultanter accedat atque,
manu ad manum tracta, eum sic alloquatur:

- Feliciter, doctor: laetitiam meam
et sociorum congratulationem tibi exhibeo.
Hucusque enim doctores quos proximos habuimus,
duros acerbosque, immo antipathicos prorsus censuimus.
Tu vero cito effecisti
ut unus e nostris facillime videaris.

Iamque (Macedones) in medium Persarum undique circumfusi,
egregie se tuebantur: sed conserti et quasi cohaerentes,
tela vibrare non poterant;
simul ut erant emissa, in eosdem concurrentia implicabantur,
levique et vano ictu
pauca in hostem, plura in humum innoxia cadebant.
Ergo cominus pugnam coacti conserere,
gladios impigre stringunt.
Tum vero multum sanguinis fusum est:
duae quippe acies ita cohaerebant
ut armis arma pulsarent, mucrones in ora dirigerent.

Non timido, non ignavo cessare tum licuit:
collato pede, quasi singuli inter se dimicarent,
in eodem vestigio stabant
donec vincendo locum sibi facerent.
Tum demum ergo promovebant gradum,
cum hostem prostraverant:
at illos novus excipiebat adversarius fatigatos:
nec vulnerati (ut alias solent) acie poterant excedere,
cum hostis instaret a fronte, a tergo sui urgerent.

ALEXANDER non ducis magis quam militis munera exsequebatur,
opimum decus caeso Rege expetens:
quippe DARIUS curru sublimis eminebat;
et suis ad se tuendum,
et hostibus ad intexendum ingens incitamentum.

Ergo frater eius Oxathres
cum Alexandrum instare ei cerneret,
equites quibus praeerat ante ipsum currum regis obiecit;
armis et robore corporis multum super ceteros eminens,
animo vero et pietate in paucissimis:
illo utique proelio clarus,
alios improvide instantes prostravit,
alios in fugam avertit.

At Macedones ut circa Regem erant,
mutua adhortatione firmati,
cum ipso in equitum agmen irrumpunt.
Tum vero similis ruinae strages erat...

Iamque qui Darium vehebant equi,
confossi hastis et dolore efferati,
iugum quatere et Regem curru excutere coeperant:
cum ille,
veritus ne vivus veniret in hostium potestatem, desilit
et in equum, qui ad hoc sequebatur, imponitur:
insignibus quoque imperii,
ne fugam proderet, indecore abiectis...

MARZO 22

La pagina più nera della storia di ROMA (1)

Ho detto "la più nera": in realtà, non voglio darvi un giudizio da storico, che sarebbe molto al di sopra delle mie forze: mi serviva un titoletto che stuzzicassi la vostra curiosità, e credo di averlo trovato, alla buona. In realtà, in quelli ANNALES di Tacito se ne trovano di tutti i colori. E se la vostra sete si dilata, vi potrò in seguito venire incontro con altre pagine più cupe. Accontentiamoci oggi di questa, e rimangiamoci il detto perché... "Più nero ancora, purtroppo, si può".

Un Imperatore parricida a sangue freddo, un popolo la cui reazione o raccapriccio qui non compare affatto, e uno storico che, imperturbabile e assente, trasmette ai posteri una siffatta nefandezza senza inorridire !

Avete indovinato: si tratta infatti di quella pagina di Tacito nella quale si parla dell'uccisione di Agrippina, secondo un piano deciso e architettato a freddo dal "divino" Nerone per una notte delle feste dei Quinquatri (19-23 marzo, anno 58-59 d.C.).

Se non conoscete l'intero resoconto, questa sarà l'occasione buona per cercarlo e ripensarlo. Qui, e soltanto per stare al nostro calendario, ci accontenteremo non della pagina stessa dell'esecuzione di questo crimine orrendo - pur essa realisticamente curata senza batter ciglio da Tacito con dei particolari raccapriccianti - ma del quasi melodrammatico tentativo (fallito!) di far annegare Agrippina nelle acque antistanti il Promontorio Miseno e Baia, più concretamente al largo di una località che ancor oggi, col nome di Bacoli, ricorda lontanamente l'originale Bauli.

L'artificiale naufragio, notturno, da l'occasione a Tacito di aprire il resoconto con quella scintillante e quasi romantica, anzi paradossale, apertura: Noctem sideribus illustrem... dii dederunt.

Per capire tutto il retroscena, sarà opportuno premettere quanto ci si dice della programmazione articolata, sia dei singoli momenti del finto incidente, sia del da farsi nel caso di un'eventuale fallimento. Incominciamo dunque dal momento in cui la decisione è presa: resta da concretare il come: eccolo.

TACITO, Ann.XIV, III-IV

Placuitque primo venenum:
sed inter epulas principis si daretur,
referri ad casum non poterat,
tali iam Britannici exitio !

Et ministros temptare arduum videbatur,
mulieris usu scelerum adversus insidias intentae;
atque ipsa, praesumendo remedia, munierat corpus !

Ferrum et caedes quonam modo occultarentur...
nemo reperiebat et,
ne quis illi tanto facinori delectus iussa sperneret,
metuebant !

Obtulit ingenium Anicetus libertus,
classi apud Misenum Praefectus
et pueritiae Neronis educator
ac mutuis odiis Agrippinae invisus.

Ergo navem posse componi docet,
cuius pars, ipso in mari per artem soluta,
effunderet ignaram:
"nihil tam capax fortuitorum quam mare;
et, si naufragio intercepta sit,
quem adeo iniquum ut sceleri assignet
quod venti et fluctus deliquerint ?"

Additurum principem defunctae
templum et aras, et caetera ostentandae pietati !

Placuit sollertia,
tempore etiam iuta,
quando Quinquatruum festos dies apud Baias frequentabat.
Illuc matrem elicit...

Venientem dein obvius in littora (nam Antio adventabat)
excepit manu et complexu ducitque Baulos:
id villae nomen est,
quae Promontorium Misenum inter et Baianum Lacum
flexo mari alluitur...

Ac tum invitata ad epulas erat,
ut occultando facinori nox adhiberetur...

Iam pluribus sermonibus... prosequitur abeuntem,
arctius oculis et pectori haerens,
sive explenda simulatione,
seu periturae matris supremus aspectus,
quamvis ferum animum retinebat.

MARZO 23

La pagina più nera della Storia di Roma (2)

No comment! Satis pridie dictum.

Semmai, un solo richiamo... retrospettivo! su un tranello che ieri ho preferito non segnalare, nemmeno ai principianti. Qualcuno di questi ultimi, leggendo affrettatamente, si sarà meravigliato sugli strani gusti di quei Romani, ai quali ci si dice placuitque primo venenum. (Era questa la primissima frase della pagina). Egli si sarà domandato: che cosa mai trovavano di piacevole nel veleno ? Un mio avvertimento avrebbe evitato l'equivoco, in questo modo: Placuitque primo venenum (adhiberi).

Perché Tacito è fatto così, e sono anche un suo vanto questi exploits sintetici, che poi sono quelli che conferiscono al Latino quel suo superiore valore di "ginnastica mentale". Buona quindi sarebbe la traduzione così: "Per cominciare scelsero - e questo è il senso preciso del placuit, ovunque i pareri si esprimono mediante PLACET, NON PLACET - la via dell'avvelenamento. Più chiaro, o se preferite, più sconvolgente: il latino è così sintetico, da consentirci questo asserto paradossale: nè placuit è placuit (perchè qui significa "decisero") nè venenum è venenum (perché qui significa "avvelenamento"!) Meditate, gente, meditate !

TACITO, Ann. XIV, III-VI

---- RISUM TENEATIS, AMICI !--------------------------------

- Heus, caupo, quodnam huic vino nomen imposuisti ?

Cui vicissim caupo, subirascens,
- Quid tam nova quaeris?
- Quia cum tam generose ac laute vinum baptizaveris,
suspicandum mihi sonorum te nomen ad rem tantam quaesiisse !

Jacobulus properat pharmacopolium seu apothecam ingredi
et properanter postulat:
- Da mihi, quaeso,...
quos validissimos habeas pastillos adversus dolores !
- Sed, adversus quosnam, te oro, dolores ?
- Eos nondum expertus novi, sed dolendum mihi
vehementissime ac certissime erit statim ac pater legerit
quam turpiter in examinibus reiectus sim
vel suspendio dammnatus !

Noctem sideribus illustrem et placido mari quietam
quasi convincendum ad scelus dii praebuere !

Nec multum erat progressa navis,
duobus e numero familiarium Agrippinam comitantibus
(ex quis Crepereius Gallus, haud procul gubernaculis astabat;
Acerronia, super pedes cubitantis reclinis,
poenitentiam filii et recuperatam matris gratiam
per gaudium memorabat),
cum, dato signo, ruere tectum loci, multo plumbo grave !

Pressusque Crepereius et statim exanimatus est.
Agrippina et Acerronia, eminentibus lecti parietibus
ac forte validioribus quam ut oneri cederent,
protectae sunt.

Nec dissolutio navigii sequebatur, turbatis omnibus,
et quod plerique ignari etiam conscios impediebant !

Visum dein remigibus unum in latus inclinare
atque ita navem submergere,
sed neque ipsis promptus in rem subitam consensus,
et alii, contra nitentes,
dedere facultatem lenioris in mare iactus.
Verum Acerronia (imprudentia dum se Agrippinam esse
utque subveniretur matri principis clamitat)
contis et remis et, quae fors obtulerat, navalibus telis conficitur.

Agrippina silens, eoque minus agnita,
unum tamen vulnerum humero excepit:
nando, deinde occursu lenunculorum Lucrinum in Lacum vecta,
villae suae infertur.

Illic reputans ideo se fallacibus litteris accitam,
et honore praecipuo habitam,
quodque litus iuxta,
non ventis acta, non saxis impulsa navis,
summa sui parte, veluti terrestre machinamentum, concidisset,
observans etiam Acerroniae necem, simul suum vulnus aspiciens,
solum insidiarum remedium esse sensit, si non intelligerentur,
misitque libertum Agermum, qui nuntiaret filio
benignitate deum, fortuna eius, EVASISSE GRAVEM CASUM.

Orare ut, quamvis periculo matris exterritus,
visendi curam differret; sibi ad praesens quiete opus.

Atque interim, securitate simulata,
medicamina vulneri et fomenta corpori adhibet.
Testamentum Acerroniae requiri bonaque obsignari iubet,
id tantum non per simulationem !

MARZO 24

Una ingloriosa spedizione punitiva contro la tigre!

Certo non si tratta di una spedizione trionfale; questa proprio finirà addirittura fra i fischi delle donne! Leggetela perciò con attenzione e vi accorgerete che sono quei fischi il nocciolo più umano e più umoristico di questa simpatica avventura, raccontata dal già ben noto Dobrizhoffer, il quale, forse con quella debolezza con la quale ci facciamo le "foto souvenir", fa qui il proprio autoritratto, questa volta con tanto di baionetta in mano; e forse anche un paio di rivoltelle, se sappiamo ben tradurre.

In una delle famose RIDUZIONI del Paraguay, in quella di San Ferdinando degli Abipones per la precisione, una tigre fa notturna strage di pecore; ma la ferocia va troppo oltre quando l'indesiderata bestiaccia si permette di selezionare addirittura il bottino, succhiando quanto sangue vuole e portandosi via i bocconi più prelibati, le teste.

Si muovono quindi gli Indios armati fino ai denti... ma la spunterà ancora quella furbacchiona di una tigre. State a vedere.

DOBRIZHOFFER,
Historia de Abiponibus I, 289

---- RISUM TENEATIS, AMICI ! -----------------------------

Iterum atque iterum in caupona
In obscuriore cauponae angulo ebriosi bini,
vino haud obscure madentes,
sonoris probris, nisi forte et alapis,
iamdiu eluctantur.

Clientium vero unus, perterritus
ne quid forte exitiale inde proveniat,
- Properanter -ad cauponem inquit-
disiungere eos festinemus !

Cui caupo, quietissimo quidem animo:
- Ne, ait, temere eos turbare festines.
Cum uterque binos adversarios coram prospiciat,
ictus generatim infert... ei qui non adest !

In Sancti Ferdinandi oppido saepe tigris
in sepes, ubi ovium grex noctu claudebatur, irrepsit.
Sanguinem ex ovibus iugulatis suxit,
et, relictis corporibus, earum capita asportavit !

Intolerabilis porro impudentia tanta cum nobis videretur,
sole occumbente, viginti Abipones hastati,
qui perniciosissimam feram confoderent
in insidiis collocati fuere.
Alter quispiam sclopis manualibus armatus
in medio gregis decubuit.

Quamvis insidiatores hi
abditi vicina in area tacitique laterent,
eorum tamen vicinitatem seu odoratu seu auditu sentiens tigris
non ausa est more suo sepibus imminere.

Desperato demum eius adventu, nocte iam declinante
ad sua se recepere tuguria excubitores. Vix terga verterant,
adfuit tigris, denasque circiter oves discerpsit.

Ad eam investigandam alias
quotquot domi erant Abipones pedites
sub vesperum excurrerunt hastis utrimque exporrectis,
et ad ictum, si spectabilis fieret belua, promptis.
Ego, Indis petentibus, sclopo cui praefixus pugio
sclopisque minoribus armatus, illorum agmen clausi.

Excussa diligenter vicinia, cum nusquam tigris occurreret,
re infecta, FEMINARUM SIBILIS EXPLOSI, domum redivimus..!

Eadem tamen tigris, sole in occasum vergente,
ad decerpendam ex equi cadavere carnis portionem
quotidie oppido propinquabat,
quin ab insidiantibus Indis intercipi unquam posset..!

Ho addensato un tantino le righe per potervi ancora offrire in pagina altra efficace istantanea, sempre sulla tigre...nei paesi di missione. Questa volta però il Latino viene dal Vietnam, dall'antico Tonchino, dove un missionario ci racconta:

(Historiae Tunchinensis libri duo, di Alexandre de Rhodes).

Multi quoque pagi,
quibus infestarum saepe tigrium incursus feralis erat,
(asserunt easdem tigres) nunquam venisse
postquam in iis christianorum templa esse coeperunt;
iisdem autem saeviente persecutione dirutis,
rursus advenisse atque omnia late populatas esse...

MARZO 25

Oggi l'ANNUNZIAZIONE

Una festività cristiana che, guardata in profondità e misurata nella sua deliberata connotazione al 25 dicembre (i nove mesi esatti di ogni gravidanza umana), vuol dire che il SI di Maria segna il confine tra i due Testamenti: NUOVO E VECCHIO. OGGI la storia incomincia a cambiare: sarà il Figlio di Dio, appena ricevuto il consenso di Colei che EGLI STESSO ha predestinato per essere sua MADRE, a dare il via alla sua PRESENZA umana. Et habitavit in nobis, et vidimus gloriam Eius, gloriam quasi Unigeniti a Patre, plenum gratiae et VERITATIS. (Giov.1,14)

Ci troviamo dunque dentro di un grande MISTERO; sproporzionatissimo quanto si voglia per prenderlo a pretesto di una pagina che qui va soltanto segnalata per lo smalto del suo latino. Ma poiché il buon latino ci viene incontro da solo... non è il caso di tirarci indietro. E`del "soavissimo" S.Bernardo, che si abbandona per l'occasione ad una effusione simpatica e suggestiva, che la nostra impaginazione renderà trasparente. Starà venendo alla memoria di tutti anche l'ineffabile figurazione pittorica di questo stesso mistero, quella di Fra Angelico; sentitevi quindi invitati a gustare, col latino, la medesima e intensissima emozione religiosa di questo attimo indescrivibile. Fra Angelico ferma la azione e il dialogo in attesa drammatica della decisione di Maria; San Bernardo invece non sa trattenersi... e sfodera tutta la sua irrompente e lirica dialettica per convincere quella pudica fanciulla a dare decisamente il SI che dovrà cambiare la storia.

Uno stesso è il momento: ugualmente trepidante l'attesa. Alla prima sorpresa di Maria, e alla sua pudica richiesta Quomodo fiet istud?, l'Angelico da una risposta statica, l'unica che può dare la pittura, che parla in teologico silenzio: Spiritus Sanctus superveniet in Te et virtus Altissimi obumbrabit tibi, ideoque et quod nascetur ex te sanctum vocabitur FILIUS DEI. Bernardo invece vuole, con retorica irruenza, strapparle quanto prima il suo dinamico e fattivo consenso: "Fai in fretta, privilegiata fanciulla: il mondo attende !"

Di San Bernardo, ultimus inter Patres sed primis certi non impar, sarebbero ovviamente moltissime le pagine degne di essere messe in mostra in qualsiasi Antologia. E per prima, quella universalmente nota ai devoti di qualsiasi Madonna. Respice stellam, voca Mariam. Pagina (dalla Hom.II super "Missus est" 17. Migne PL 183, 70-B)... qua fortasse nulla pulchrior habetur, nulla vehementior, nulla ad excitandum in Mariam amorem nostrum aptior, neque utilior ad refovendam pietatem et ad eius persequenda virtutum exempla...

In data LUGLIO 28 ne troverete altra, quella, guarda caso, che, poichè parla di GIUBILEO e dell'OLOCAUSTO DEGLI EBREI, mi ha creato il problema di trovare ora, assolutamente, un cantuccio nell'ormai zeppa Antologia.

S.BERNARDO, Homil. 4, 8-9

Audisti, virgo,
quia CONCIPIES ET PARIES filium.
Audisti quod non per hominem, sed per Spiritum Sanctum.
Exspectat Angelus responsum !
Tempus est enim ut revertatur ad Deum qui misit illum.

Exspectamus et nos, o Domina, verbum miserationis,
quos miserabiliter premit sententia damnationis.
Et ecce offertur tibi pretium salutis nostrae,
statim liberabimur si consentis !

In sempiterno Dei Verbo facti sumus omnes, et ecce morimur !
In tuo brevi responso sumus reficiendi,
ut ad vitam revocemur.

Hoc supplicat a te, o pia virgo, flebilis Adam,
cum misera sobole sua exsul de paradiso:
hoc Abraham, hoc David,
hoc ceteri flagitant sancti patres, patres scilicet tui,
qui et ipsi habitant in regione umbrae mortis.
Hoc TOTUS MUNDUS, tuis genibus provolutus, exspectat !

Nec immerito, quando ex ore tuo pendet CONSOLATIO miserorum,
REDEMPTIO captivorum, LIBERATIO damnatorum,
SALUS denique universorum filiorum Adam, totius generis tui.

Da, Virgo, responsum, festinanter !
Responde citius Angelo, immo, per Angelum, Domino.
Responde verbum et suscipe VERBUM.
Profer tuum et concipe DIVINUM.
Emitte transitorium et amplectere sempiternum.

Quid tardas? quid trepidas? crede, confitere et suscipe !
Sumat humilitas audaciam, verecundia fiduciam.
Nullatenus convenit nunc
ut virginalis simplicitas obliviscatur prudentiam .
In hac sola re ne timeas, prudens Virgo, praesumptionem.
Quia etsi grata in silentio verecundia,
magis tamen nunc in verbo pietas necessaria.
Aperi, Virgo beata, COR fidei, LABIA confessioni, VISCERA Creatori.

Ecce desideratus cunctis gentibus foris pulsat ad ostium.
O, si te morante, pertransierit
et rursus incipias dolens quaerere quem diligit anima tua !
Surge, curre, aperi.
Surge per FIDEM, curre per DEVOTIONEM, aperi per CONFESSIONEM.

ECCE -inquit- ANCILLA DOMINI,
FIAT MIHI SECUNDUM VERBUM TUUM !

MARZO 26

Dario - Alessandro
Secondo round: GAUGAMELA !

Un'altra giornata guerresca al fianco di Alessandro. Dario era riuscito a scappare da Isso nella primavera del 333 perdendo (a quanto dicono fonti di sospetta parzialità) 110.000 dei suoi 600.000 uomini. Poi Alessandro preferì occuparsi delle retrovie e puntò (come avrebbe fatto in seguito Napoleone) sull'Egitto. Nel luglio del 332 superava l'ostacolo di Tiro e si inoltrava nel mondo faraonico per farsi riconoscere come "figlio di Zeus Ammone".

Raggiunto il doppio obiettivo, e approvato anche il piano della futura Alessandria, riprese la ricerca di Dario. Gaugamela e Arbela, ai primi di ottobre del 331, saranno il bis e il ter dello scontro di Isso. Si combattè con lo stesso ardore e con maggiori rischi, poiché questa volta Dario si era fatto più temibile con gli elefanti e i carri falcati.

Il resoconto di Curzio lo potremmo questa volta qualificare di cinematografico, se non addirittura stereofonico.

Fate attenzione a quella stupenda carrellata panoramica sul campo di battaglia, e ascoltate in stereo i zoccoli dei cavalli, lo scoccare nevrotico delle fruste, le parolaccie persiane cariche di impazienza e paura. L'immagine di quei Persiani che sprofondano nel polverone dei fuggiaschi, per di più con la precisazione puntualissima che "era l'ora del tramonto", ha un non so che di alta tecnica cinematografica, che fa pensare a IL RESTO FU SILENZIO, se non ad un possibile OSCAR.

Noi però disponiamo di una sola pagina, ed è giocoforza ricorrere alla sintesi. Del resto, come ci dice lo stesso Curzio, anche la sua storia è così condizionata alla brevità: poichè i grandi eventi di quel solo giorno equivalgono alla sintesi di un secolo:

Propemodum saeculi res in unum diem fortuna cumulavit.

CURZIO,
De rebus Alexandri Magni, lib.IV, c.LIX-LXI

Ingens ergo alacritas ac fiducia
paulo ante territos accendit ad pugnam,
utique postea quam auriga Darii,
qui, ante ipsum sedens, equos regebat,
hasta transfixus est (ab ipso Alexandro, ut ait Diodorus).

Nec aut Persae aut Macedones dubitare
quin ipse Rex esset occisus.
Lugubri ergo ululatu et incondito clamore gemituque
totam fere aciem,
adhuc aequo marte pugnantium, turbavere.
COGNATI Darii et armigeri, laevum tuentes cornu,
in fugam effusum destituerant currum,
quem a dextera parte stipati in medium agmen receperunt.

Dicitur acinace stricto Darius dubitasse
an fugae dedecus honesta morte vitaret.
Sed eminens curru,
nondum omnem suorum aciem proelio excedentem
destituere erubescebat:
dumque inter spem et desperationem haesitat
sensim Persae cedebant et laxaverant ordines.

Alexander, mutato equo, quippe plures fatigaverat,
resistentium adversa ora fodiebat,
fugientium terga.
Iamque non pugna sed caedes erat,
cum Darius quoque currum suum in fugam vertit.

Haerebat in tergis fugientium victor
et prospectum oculorum nubes pulveris,
quae ad caelum ferebatur, abstulerat.
Ergo haud secus quam in tenebris errabant,
ad sonitum notae vocis, ut signum, subinde coeuntes.

Exaudiebantur tantum strepitus habenarum.
quibus equi currum trahentes identidem verberabantur:
haec sola fugientis vestigia excepta sunt...

Tandem barbari,
cum obscura luce
fuga tutior videretur esse quam pugna,
diversis agminibus abiere.

Rex ita, extraordinario periculo defunctus,
incolumes suos reduxit ad castra...

Dein, ingens spatium fugae emensus,
media fere nocte Arbelam pervenit.

MARZO 27

Babilonia, che fortuna !
Tutte le porte aperte

CURZIO,
De rebus Alexandri Magni,
lib.IV, c.III-IV

---- RISUM TENEATIS, AMICI ! -----------------------------

Scotorum parcimonia salibus nutrimento est.
Sic, exempli causa, in dicto illo cuiusdam patrisfamilias,
qui puerum suum reperit nummum proicientem
in aliquam earum machinularum
quae nihil nisi dulciaria omne genus distribuunt.
Pusiolum ibi deprehensum sic pater alloquitur:

- Stultule puer ! Nonne tibi centies praemonui
huiusmodi dulciaria stomacho tuo
velut venena esse consideranda ?
Cur igitur rei nocivae pecuniam tradis?

Cui filiolus:
- Pater mi, sed nummulus falsus est !

Ei autem pater, quietiore demum animo:
- Transeat, ait, quandoquidem nihil tibi dulciaria nocebunt.

Ceterum, Babylonem procedenti Alexandro,
Mazaeus, qui ex acie in urbem eam confugerat,
cum adultis liberis supplex accurrit,
URBEM SEQUE DEDENS.

Gratus adventus eius fuit Regi:
quippe magni operis
futura erat obsidio tam munitae urbis !

Ad haec vir illustris et manu promptus,
famaque etiam proximo proelio celebris,
ceteros ad deditionem sui incitaturus exemplo videbatur.
Igitur hunc quidem benigne cum eius liberis excepit.

Ceterum quadrato agmine, quod ipse ducebat,
velut in aciem irent, ingredi suos iubet.

Magna pars Babyloniorum constiterat in muris,
avida cognoscendi novum Regem.
Plures obviam egressi sunt:
inter quos Bagophanes,
arcis et regiae pecuniae custos,
ne studio a Mazaeo vinceretur,
totum iter floribus coronisque constraverat,
argenteis altaribus ab utroque latere dispositis,
quae non thure modo, sed omnibus odoribus cumulaverat.

Eum dona sequebantur, greges pecorum equorumque:
leones quoque et pardales caveis praeferebantur.
Magi deinde suo more patrium carmen canentes:
post hos Chaldei,
Babyloniorum non vates modo sed etiam artifices,
cum fidibus sui generis ibant.
Laudes ii Regum canere soliti:
Chaldaei siderum motus
et statas temporum vices ostendere.

Equites deinde Babylonii suo atque equorum cultu
ad luxuriam magis quam ad magnificentiam exacto,
ultimi ibant.

Rex, armatis stipatus,
oppidanorum turbam post ultimos pedites ire iussit.
Ipse cum curru urbem ac deinde regiam intravit.

Postero die supellectilem Darii et omnem pecuniam recognovit.

Ceterum ipsius urbis pulchritudo ac venustas
non Regis modo sed etiam omnium oculos in semet
haud inmerito convertit...

MARZO 28

Gli "horti pensiles" e i "corrupti mores" di Babilonia

Le meraviglie di Babilonia sono descritte da Curzio nel c.IV del libro IV. Nel seguente si entra già nei particolari dei famosi giardini pensili, per passare senz'altro indugio alla corruzione dei costumi.

Possiamo fare a meno della descrizione della città, essendo ben noto che di essa è a stento sopravvissuto quanto basta a dirci dov'era, e ben poco a dirci com'era: fermiamoci un tantino sui famosi corrupti mores, che hanno fatto malfamato il nome di Babilonia. La descrizione latina dei quali (letteraria soltanto, non televisiva!) non sembra comporti oggi nessun connotato scandalistico.

Al contrario; mi si consenta denunciare quanto invece sia più negativo, di fronte a questa esplicita condanna, firmata da un pagano (che palesemente carica la sua descrizione coi qualificativi più cupi), l'amoralistico e deliberato silenzio di scrittori dei nostri tempi, come quello che in una monografia scolastica, che dovrebbe perciò stesso essere paedagogica, preferisce ignorare che proprio di vere nefandezze trattasi, e non di innocenti svaghi. Mentre in Curzio, ad esempio, è rovente e ben esplicita la condanna dello spogliarello, ed egli, scrittore pagano, nel dover accennare a tanta spudoratezza, si sente in obbligo di chiedere scusa ai lettori col convenzionale honos habitus sit, il nostro contemporaneo sorvola invece con amoralistica freddezza: "La favolosa magia e gli inebrianti piaceri orientali ricompensarono i soldati, che poterono godere di un lungo riposo". Quegli inebrianti piaceri orientali compaiono in latino senza mezzi termini come DEDECUS, peggio ancora, come FLAGITIA; niente eufemismi o deliberati silenzi !

Nella quartultima riga ho cercato di dare maggior rilievo, con le maiuscole, ad una frase per niente equivoca; vi aiuterò anche con questa libera traduzione: "Oggi queste cose le denominiamo conquiste civili, che fruttano soldoni quando diventano programmi non-stop nelle nostre TV".

Per la seconda parte del "ciclo di Alessandro", appuntamento alle giornate 17-21 di Novembre.

CURZIO, De rebus Alexandri Magni, lib.IV, cap.V

Super arce, vulgatum Graecorum fabulis miraculum,
PENSILES HORTI sunt,
summam murorum altitudinem aequantes
multarumque arborum umbra et proceritate amoeni.
Saxo pilae, quae totum onus sustinent, instructae sunt.
Super pilas lapide quadrato solum stratum est,
patiens terrae, quam altam iniciunt,
et humoris, quo rigant terras:
adeoque validas arbores sustinet moles, ut stipites earum
octo cubitorum spatium crassitudine aequent,
in quinquaginta pedum altitudinem emineant,
et frugiferae sint, ut si terra sua alerentur.

Et quum vetustas non opera solum manu facta,
sed etiam ipsam naturam paulatim exedendo perimat,
haec moles, quae tot arborum radicibus premitur,
tantique nemoris pondere onerata est, inviolata durat.
Quippe viginti lati parietes sustinent,
undecim pedum intervallo distantes;
ut procul visentibus sylvae montibus suis imminere videantur.

Syriae Regem Babylone regnantem
hoc opus esse molitum, memoriae proditum est
amore coniugis vinctum, quae desiderio nemorum sylvarumque
in campestribus locis virum compulit,
amoenitatem naturae genere huius operis imitari.

Diutius in hac urbe quam usquam constitit Rex:
nec ullus locus disciplinae militari magis nocuit.
NIHIL URBIS EIUS CORRUPTIUS MORIBUS,
nec ad irritandas illiciendasque immodicas voluptates instructius.
Liberos coniugesque cum hospitibus stupro coire,
modo pretium flagitii detur, parentes maritique patiuntur.
Convivales ludi tota Perside regibus purpuratisque cordi sunt:
Babylonii maxime
in vinum et quae ebrietatem sequuntur effusi sunt.

Feminarum convivia ineuntium
in principio modestus est habitus:
deinde summa quaeque amicula exuunt,
paulatimque pudorem profanant:
ad ultimum (honos habitus sit) ima corporum velamenta proiciunt !

Nec meretricum hoc DEDECUS est,
sed matronarum virginumque:
apud quas COMITAS HABETUR VULGATI CORPORIS VILITAS !

Inter haec FLAGITIA, exercitus ille, domitor Asiae,
per XXXIV dies saginatus, ad ea quae sequebantur discrimina
haud dubie debilior futurus fuit, si hostem habuisset...

MARZO 29

Segreto di confessione, ovverosia
"Si presenta un credente impegnato"

Le sorprese in Seneca non finiscono mai. Altro che saepe noster ! Egli è così vicino al Cristianesimo che, con solo chiudere un occhio sulla terminologia che non può non usare, o sull'elenco dei Santi che non può fare a meno di citare, riusciamo a scoprire che la sua testa è governata dai medesimi principi eterni sui quali noi fondiamo l'elevazione dell'uomo.

E` capitato proprio a me (sacerdote, e per di più di quelli impegnati a tempi nel grande ufficio sacerdotale del confessionale) di giungere alla lettura del De Tranquillitate Animi, proprio quando qualche buon cristiano, sensibile alla voce della coscienza o agli appelli del Concilio, veniva da me a sollecitare una guida spirituale per ritrovare se stesso; un aiuto per interpretare con esattezza le sue voci interiori, per programmare una strategia concreta e fattiva di "riconversione".

Guarda caso: quell'identico rendiconto di coscienza, quelle medesime autocritiche contro la conformistica tiepidezza in cui si vive, quella umilissima disposizione interiore, di volersi dare finalmente un deciso scossone... me lo ritrovo, quasi ad litteram, in quel brano che Seneca premette al suo De Tranquillitate Animi, attribuendolo ad uno sconosciuto Serenus. Un discorso così moderno da ricalcare tutte le angoscie interiori di una vera e propria confessione generale, di uno che ha deciso di non ingannarsi più, di convertirsi per davvero, di "impegnarsi". Ad analizzare a fondo questa lettura scopriremo che, da qui, è possibile intravedere un primo indizio di vocazione alla vita consacrata !

Avrei preferito, dato il metodo di questa Antologia, fermarmi entro i limiti di una pagina. Perché non è facile sopprimere una sola frase della coraggiosa autocritica: nè fare a meno di uno solo dei gradini che spingono quest'uomo sincero a spalancare dinanzi al confessore la sua conturbata coscienza: Rogo itaque, si quod habes remedium quo hanc fluctuationem meam sistam, dignum me putes qui TIBI tranquillitatem meam debeam. E ancora con frase più sanguinante (tale quale, la stessissima di chi voleva trovare in me un direttore spirituale), ut vera tibi similitudine id de quo queror exprimam, non tempestate vexor sed nausea ! Dove, anche se "nausea" è in realtà il "mal di mare", puoi tuttavia tradurre liberamente "sono nauseato di me stesso!"

Meraviglioso e veritiero rendiconto di coscienza; (attenti a quel severo esame che scopre perfino i diffetti "a tripla profondità"). Vi si scorgono i risvolti delle cose valide in aeternum. E farete bene a programmarvi la lettura integrale della risposta che Seneca darà a questo cercatore di serenità interiore, al quale per giunta sfugge lo straziante grido finale: Dà una mano a questo naufrago che rischia di non raggiungere la riva! ET SUCCURRE IN CONSPECTU TERRARUM LABORANTI !

SENECA, De Tranquillitate Animi, I

Inquirenti mihi in me
QUAEDAM vitia apparebant, Seneca,
in aperto posita, quae manu prehenderem;
QUAEDAM obscuriora et in recessu;
QUAEDAM non continua sed ex intervallis redeuntia,
quae vel molestissima dixerim,
ut hostes vagos et ex occasionibus assilientes.
Per quos neutrum licet,
nec tanquam in bello paratum esse,
nec tanquam in pace securum.

Illum tamen habitum in me maxime deprehendo
(quare enim non verum ut medico fatear ?),
nec bona fide liberatum me iis quae timebam et oderam,
nec rursus obnoxium.
In statu, ut non pessimo,
ita maxime querulo et moroso positus sum:
NEC AEGROTO, NEC VALEO !

Non est quod dicas omnium virtutum tenera esse principia,
tempore illis duramentum et robur accedere.
Non ignoro etiam quae in specie laborant,
-dignitatem dico et eloquentiae famam,
et quidquid ad alienum suffragium venit- mora convalescere.
Et quae veras vires parant
et quae, ad placendum, fuco quodam subornantur
exspectant annos donec paulatim colorem diuturnitas ducat.

Sed ego vereor ne consuetudo, quae rebus affert constantiam,
hoc vitium mihi altius figat:
tam malorum quam bonorum longa conversatio amorem induit.

Haec animi inter utrumque dubii,
nec ad recta fortiter nec ad prava vergentis,
INFIRMITAS qualis sit,
non tam semel tibi possum quam per partes ostendere.
DICAM QUAE ACCIDANT MIHI, TU MORBO NOMEN INVENIES.

Tenet me summus amor parsimoniae, fateor:
PLACET non in ambitionem cubile compositum,
non ex arcula prolata vestis,
non ponderibus ac mille tormentis splendere cogentibus expressa,
sed domestica et vilis, nec servata nec sumenda sollicite.

PLACET cibus quem nec parent familiae nec spectent,
non ante multos imperatus dies nec multorum manibus ministratus,
sed parabilis facilisque, nihil habens arcessiti pretiosive,
ubilibet non defuturus,
nec patrimonio nec corpori gravis,
non rediturus qua intraverit...

MARZO 30

Prosegue la "confessione generale"

PLACET minister incultus et rudis vernula,
argentum grave rustici patris, sine ullo nomine artificis,
et mensa non varietate macularum conspicua
nec per multas dominorum elegantium successiones civitati nota,
sed in usum posita, quae nullius convivae oculos
nec voluptate moretur nec accendat invidia.

Cum bene ista placuerunt, praestringit animum
apparatus alicuius paedagogii,
diligentius quam in tralatu vestita
et auro culta mancipia et agmen servorum nitentium.
Iam domus, etiam qua calcatur, pretiosa
et, divitiis per omnes angulos dissipatis, tecta ipsa fulgentia,
et assectator comesque patrimoniorum pereuntium populus.

Quid perlucentes ad imum aquas et circumfluentes ipsa convivia?
Quid epulas loquar scaena sua dignas ?
Circumfudit me ex longo frugalitatis situ venientem
multo splendore luxuria, et undique circumsonuit: paulum titubat acies,
facilius adversus illam animum quam oculos attollo.
Recedo itaque non peior, sed tristior,
nec inter illa frivola mea tam altus incedo,
tacitusque morsus subit et dubitatio numquid illa meliora sint.
Nihil horum me mutat, nihil tamen non concutit.

PLACET vim praeceptorum sequi et in mediam ire rem publicam;
PLACET honores fascesque
(non scilicet purpura aut virgis abductum) capessere,
sed ut amicis propinquisque et omnibus civibus,
omnibus deinde mortalibus paratior utiliorque sim.
Promptus, imperitus, sequor Zenona, Cleanthen, Chrysippum,
quorum tamen nemo ad rem publicam accessit, et nemo non misit !

Ubi aliquid animum insolitum arietari percussit,
ubi aliquid occurrit
aut indignum, ut in omni vita humana multa sunt,
aut parum ex facili fluens,
aut multum temporis res non magno aestimandae poposcerunt,
ad otium convertor, et quemadmodum pecoribus, fatigatis quoque,
velocior domum gradus est.

PLACET intra parietes rursus vitam coercere:
nemo ullum auferat diem, nihil dignum tanto impendio rediturus;
sibi ipse animus haereat, se colat, nihil alieni agat,
nihil quod ad iudicem spectet;
ametur expers publicae privataeque curae tranquillitas !...

Sed, ubi lectio fortior erexit animum
et aculeos subdiderunt exempla nobilia,
prosilire iubet in forum, commodare alteri vocem, alteri operam,
etiam si nihil profuturam, tamen conaturam prodesse,
alicuius coercere in foro superbiam male secundis rebus elati.

In studiis puto mehercule melius esse
res ipsas intueri et harum causa loqui,
ceterum verba rebus permittere,
ut qua duxerint, hac inelaborata sequatur oratio.
Quid opus est saeculis duratura componere ?
Vis tu non id agere ne te posteri taceant ?
Morti natus es; minus molestiarum habet funus tacitum !
Itaque occupandi temporis causa in usum tuum, non in praeconium,
aliquid simplici stilo scribe:
minore labore opus est studentibus in diem.
Rursus ubi se animus cogitationum magnitudine levavit,
ambitiosus in verba est,
altiusque ut spirare ita eloqui gestit,
et ad dignitatem rerum exit oratio.
Oblitus tum legis pressiorisque iudicii,
sublimius feror et ore iam non meo.

Ne singula diutius persequar,
in omnibus rebus haec me sequitur bonae mentis infirmitas,
cui ne paulatim defluam vereor,
aut quod est sollicitius, ne semper casuro similis pendeam
et plus fortasse sit quam quod ipse pervideo:
familiariter enim domestica aspicimus,
et semper iudicio favor officit.

Puto multos potuisse ad sapientiam pervenire,
nisi putassent se pervenisse, ni quaedam in se dissimulassent,
quaedam opertis oculis transiluissent.
Non est enim quod magis
aliena iudices adulatione nos perire quam nostra !
Quis sibi verum dicere ausus est ?
Quis non inter laudantium blandientiumque positus greges
plurimum tamen sibi ipse assentatus est ?

ROGO ITAQUE SI QUOD HABES REMEDIUM
quo hanc fluctuationem meam sistas, dignum me putes
qui tibi tranquillitatem debeam.
Non esse periculosos hos motus animi
nec quidquam tumultuosi afferentes scio.

Ut vera similitudine id de quo queror exprimam,
NON TEMPESTATE VEXOR, SED NAUSEA:
detrahe ergo quidquid hoc est mali,
ET SUCCURRE IN CONSPECTU TERRARUM LABORANTI.

MARZO 31

Universa universis
patavina libertas !

All'Università di Padova io arrivai già grandicello (1953), e avevo soltanto bisogno di studiare sul serio per rientrare al mio posto con quella Laurea, ingrediente insostituibile per chi all'insegnamento era orientato dai Superiori. Non mi diede troppo filo da torcere nè la vita goliardica nè i suoi principi propulsori: il baccano fragoroso di alcune tradizioni goliardiche, spesso di cattivo gusto, non era roba per me. Nè mi preoccupai affatto per sapere cosa significassi il diffusissimo motto UNIVERSA UNIVERSIS PATAVINA LIBERTAS, che per altri sembrava essere una bandiera accademica.

Guarda caso: questo slogan mi viene oggi in mente allorchè, frugando in un libro ungherese alla ricerca di eventuali pagine esotiche per questa Antologia, cosa mi ci ritrovo? Un tale che, proprio alla distanza giusta, (400 anni tondi tondi, poiché io la sto scoprendo il 5.I.1992) rimanda ai suoi patroni di Budapest un brano delle sue impressioni del giorno; uno schizzo veritiero della Padova studentesca! Nessuno mi interpreti questa pagina come offensiva. Avrei sinceramente preferito trovarne altra più panegiristica. La trovo "interessante", e spero sinceramente che sarà letta, anche a Padova, con imparzialità. E poichè qui si tratta soltanto di digerire un brano di buon latino, ve lo raccommando: è accettabile e senza sbagli, anche se non proprio di primissima scelta!

Vi offro in aggiunta, ricordato da queste stesse pagine, uno squarcio autobiografico... più antico. Quando, in un ospedale di guerra (1938), laggiù in Spagna, mi trovai col disgustoso spettacolo che mi portavano in corsia un ubriaco fradicio e che, per doveroso aiuto diagnostico, il medico di guardia aveva scritto esattamente DELIRIUM TREMENS, io mi ritrovai a reagire istintivamente contro QUEL latino: scrissi dunque - in volgare - nel foglio di accettazione di quel malcapitato beone: "sbornia da pachiderma". Ora vengo a sapere da questo elenco delle glorie ungheresi alla mia Università di Padova, che un altro ungherese di quell'anno 1834 otteneva la laurea in medicina proprio con questo argomento: Dissertatio inauguralis medica de DELIRIO CUM TREMORE... quam pro Doctoris Medicinae Laurea... submittit disquisitioni Ludovicus Gulielmus Godofridus Simonis, Saxo-Transylvanus Schaessburgensis. Aggiungo soltanto la mia comprensione per questa discreta sopravvivenza del Latino nella fraseologia tecnica e ufficiale: DELIRIUM TREMENS è almeno un educato eufemismo.

Il quale poi "eufemizza" anche una delle più pazzesche follie di questo mondo psichedelico che stiamo costruendo, poiché DELIRIUM TREMENS (Denominazione brevettata) era anche, nel 1992, un Complesso di Musica Rock !

ANDREAS VERESS, Fontes rerum hungaricarum,
Matricula et acta Hungarorum in Universitatibus Italiae
Volumen I. Padova. (Budapest,1915) pp.100 e 141

Stephanus Szamosközius (István Szamosközi)
Wolfgango Kovaczóczio, Regni Transylvaniae Cancellario:

5 januarii 1592

Academia nostra (Patavina scilicet) est satis frequens,
tum studiosis, tum doctis in omni facultate professoribus.

Diebus proximis Academicus Senatus
in reformando statu revocandisque Academiae Institutis,
quae temporis diuturnitate fere antiquata fuerant,
vehementer laboravit.

Primum ut professorum quilibet
lectiones suas, cursim continuatas,
oratione prosequatur, neve ad calamum quidquam dictet,
quod iampridem usu apud quosdam invaluerat
quo gratiam et frequentiam auditorum captarent.

Deinde vero ut singuli integras horas in lectionem insumant.
Nam cum antea
tumultu, strepitu petulantiaque auditorum illi interpellarentur,
vix quidam eorum
trientem horae lectionibus impertire poterat, atque ita
male moratorum opera bonorum quoque studia remorabantur.

Studiosis quoque severe praeceptum
ne sibilis professores conscindant
tumultumque ac strepitum sub lectione ne moveant.
Quae corruptela, iamiam sensim inrepente licentia,
omnia auditoria pervagata fuerat,
ut nihil esset a petulantia eorum immune
(videbantur propolae et caupones ad tabernas digladiari!)
Qui praevaricabuntur,
carcere, mulcta, proscriptione damnabuntur.
Edictum in Basilica, pro more proclamantium excussum, publicatum est.

Quanquam autem haec magno studio et acta et peracta sunt,
iidem tamen tumultus, eaedem in subselliis turbae aguntur,
nemine commissa castigante.

Credo Senatum Venetum prudentissimum
moderationem tantum voluisse minaci hoc decreto edicere,
cum revera tacite connivere videatur
ad hanc Academiae labem,
longo iam abusu in consuetudinem versam.
Nam quid illis magis esset in promptu,
quam praesentem delinquentibus irrogare mulctam, fustes, vincula ?

Sed haec viderint ii qui rebus his praesunt !